Headlines. Mostra di Andy Warhol

SCRITTO DA
Chiara Micol Schiona

Vorrei essere fatto di plastica. Così si intitola un articolo apparso su Paese Sera del 29 giugno del 1973 e, a definirsi con queste parole era Andy Warhol, artista che indubbiamente ha segnato quella che venne definita da Lawrence Alloway la Pop Art.
Se è vero che la sua arte si è declinata in quella rappresentazione del mondo delle cose caduche, che lo porteranno ad essere ricordato per le sue icone ripetute all’infinito, è bene però sottolineare che, al di là del suo legame con il mondo della “mass culture” americana, “un artista pop non dipinge una bottiglia di Coca-Cola, ma un’immagine pubblicitaria che rappresenta una bottiglia di Coca-Cola, non dipinge Marilyn Monroe, ma una fotografia di Marilyn, non dipinge la parola arte, ma una rappresentazione grafica della parola arte” (Francesco Poli, Arte Contemporanea, Electa, 2004).

Alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, a cura di Molly Donovan, ritroviamo tutto questo, nella mostra Andy Warhol: Headlines. Nelle ottanta opere si pone lo sguardo sul rapporto, allo stesso tempo estetico e anestetico, che Warhol ebbe nei confronti della cultura di massa. Quest’ultima viene sviscerata e, ironicamente, svelata nei suoi aspetti più profondi, attraverso il gioco umoristico, la sperimentazione, le collaborazioni con Haring e Basquiat.

Il medium è il messaggio, così affermò Marshall McLuhan, ma già nel 1936 Walter Benjamin in L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica aveva analizzato le modifiche al concetto di arte attraverso i mezzi tecnici di riproduzione e la massificazione dei tratti caratteristici della nostra cultura. Così per Warhol la realtà e l’ambiente sociale sono immaginabili solo in quanto prodotti preconfezionati, come una messa in scena di realtà. Dal periodo di ricerca nel quale l’artista ha operato una sorta di ritorno alla pittura, si passa a fasi più meccaniche in cui l’unione tra la rappresentazione fedele del reale e l’annullamento della soggettività doveva essere amplificata per essere più vicina al mondo mass mediale, più che al mondo artistico. Le “foto cucite” ne sono un esempio: si snodano e si ricompongono da quello che fu il filone del collage dada, come nel primo lavoro del 1956 The Princeton Leader, un giornale di una piccola cittadina del Kentucky. Attraverso  una sorta di “sentimento del contrario” la semplice caricatura fa sì che si evidenzi, agli occhi dello spettatore, la stratificazione delle classi sociali dell’America degli anni dell’hula hop.

Diversamente, e molto più criticamente, abbandonando il gioco e l’ironia, nell’opera Artista morto forse soffocato (1983), esplica quello che scrisse Wim Wenders in L’atto di vedere: “la decisione più politica che puoi prendere è dove dirigere gli occhi della gente. In altre parole, ciò che mostri alla gente, giorno per giorno, è politico”. Opera basata sulla notizia apparsa sul New York Daily News della morte dell’amico artista Michael Steward, qui Warhol elabora un’azione critica e, appunto, quasi politica, nel porre in risalto gli annunci dei saldi di fine stagione stampati nello stesso articolo, riducendo però le dimensioni della notizia. Come a dire: tutto è oramai cultura di massa, persino l’evento tragico. Ed è evidente in Fate presto, opera basata sulla prima pagina de Il Mattino di Napoli del 26 novembre del 1980. Qui il titolo richiama l’esortazione per i soccorsi per il terremoto che aveva colpito la Campania. Warhol varia i toni e il formato, ingrandendo la notizia, da una parte, quasi in proporzione alla tragicità dell’evento e, dall’altra, ci fa vedere come il pathos e le stesse situazioni tragiche si presentino oramai in forme anestetizzate. Il tutto è ancora più esaltato nelle ripetizioni serigrafiche, come nella cartella creata sui flash d’agenzia che il 22 novembre del 1963 annunciarono l’omicidio di Kennedy. L’ossessione per il presidente da parte degli Americani porta la sfera privata a riuscire a sopravvivere soltanto quale appendice della sfera pubblica. In Andy Warhol la sfera privata ha lasciato il posto a quella collettiva, l’abitudine ha finito per annullare la carica di choc che forse in origine possedeva l’immagine.

Opera più caratterizzante e interessante sull’ipermediazione è certamente l’Electric Newspaper, un disco creato in collaborazione con l’etichetta indipendente The East Village Other insieme ai Velvet Underground, Ginsberg, Peter Orlovsky e il sassofonista Marion Brown, in cui Warhol partecipa con il brano Silence della durata di 11 secondi dove si rilevano unicamente rumori ambientali. L’ironia del disco viene smorzata dal sottotitolo: Hiroshima Day, l’omaggio al ventunesimo anniversario del bombardamento della città giapponese (6 agosto 1966).
E la fotografia? Per Warhol è solamente uno stadio della preparazione dell’immagine dipinta, serve per ricordare, elaborare, ricercare. In fondo, come lui stesso affermò, Non penso, vedo (Il Messaggero 14 aprile 1972).

© CultFrame 07/2012

 

IMMAGINI

1 Andy Warhol and Keith Haring. Untitled (Madonna, I’m Not Ashamed), 1985. Synthetic polymer, Day-Glo, and acrylic on canvas (50.8 x 40.6 cm). Collection Keith Haring Foundation, New York. © 2011 The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc. / Artists Rights Society (ARS), New York, Keith Haring artwork © Keith Haring Foundation

2 Andy Warhol. Fate Presto, 1981. Acrylic and silkscreen ink on canvas, three panels (each panel: 270 x 200 cm). Palazzo Reale di Caserta – Collezione Terrae Motus. © 2011 The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc. / Artists Rights Society (ARS), New York, © Luciano Pedicini / Archivio Dell’Arte

INFORMAZIONI

Andy Warhol – Headlines / a cura di Molly Donovan
Dal 12 giugno al 9 settembre 2012
Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea / Viale delle Belle Arti 131, Roma / Telefono: 06.32298221
Orario: martedì – domenica 9.30 – 19.00 / chiuso lunedì

LINK
CULTFRAME. Andy Warhol Gian Size. Un libro edito da Phaidon. Di Alicia M. Huberman
Andy Warhol Museum, Pittsburgh (PA)
Galleria nazionale d’arte Moderna e contemporanea, Roma

 

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