Camminando. Mostra di Claire Chevrier. FOTOGRAFIA – Festival Internazionale di Roma. XI Edizione

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis

Non c’è alcun dubbio sul fatto che il tema del lavoro in ambito artistico sia proprio oggi di straordinaria importanza. In considerazione della crisi economica che devasta l’Europa forse sarebbe più opportuno affrontare il problema della mancanza di occupazione e ancor di più della relazione oscena tra il termine lavoro e quello di flessibilità, ma in questo caso entreremmo in un’analisi politico-economica non di nostra competenza.
La questione di cui intendiamo occuparci è invece quella del “fare arte”, della dimensione dell’espressione creativa e della comunicazione contemporanea. In tal senso, appare interessante la scelta di dedicare proprio al “lavoro” l’undicesima edizione di FotoGrafia Festival Internazionale di Roma. Certamente, una manifestazione culturale non potrà cambiare la situazione in atto (e neanche quella futura) e non sarà in grado di veicolare integralmente le diverse e numerose articolazioni internazionali (artistiche) relative all’argomento che stiamo trattando; potrà, però, portare alla luce le scelte di alcuni artisti che hanno affrontato questo aspetto della vita sociale in modo serio e anticonvenzionale.

Abbiamo così riscontrato la presenza nel cartellone del festival della Capitale della fotografa francese Claire Chevrier, con opere inserite nella collettiva intitolata Camera Work (MACRO – Testaccio) ma soprattutto con la personale denominata Camminando, allestita all’Atelier del Bosco di Villa Medici (Accademia di Francia).
Ogni lavoro esposto a MACRO Testaccio e a Villa Medici possiede due elementi fondamentali: assenza totale di retorica politica e lontananza da ogni pericolo di estetizzazione della condizione umana. Tali fattori non sembrino di poco conto, anzi sono le componenti del nucleo poetico/stilistico di un percorso artistico la cui linea appare rigorosa e fuori dai soliti canoni modaioli.

Claire Chevrier parte da un presupposto che stimola la nostra riflessione: la raffigurazione del lavoro passa attraverso la connessione tra spazio e figura umana. Le zone lavorative (nel senso più ampio della definizione) sono determinate in maniera netta dall’attraversamento degli ambienti e dal posizionamento dei corpi. Il luogo e l’essere umano diventano così fattori che spingono il fruitore a interrorgarsi sul ciclo esistenziale che vede “masse di cittadini” (almeno un tempo era così) legare la propria vita al rapporto giornaliero con uno spazio. L’area del lavoro diviene palcoscenico filosofico della tragedia umana, teatro marmorizzato dell’evocazione della sofferenza, della costrizione e dello straniamento del soggetto/lavoratore.

A tal proposito, risulta significativo il libro di Claire Chevrier intitolato Il fait jour (Editions Loco, Centre Régionale de la photographie Nord Pas-de-Calais, Silvana Editoriale).
La prima immagine del volume blocca in uno scatto in campo lunghissimo una sorta di cava. Un’ampia area sterrata occupa la parte inferiore dell’inquadratura mentre sullo sfondo si intravede una zona abitata. La sensazione che si prova davanti a quest’opera è di sostanziale spaesamento. La figura umana è solo evocata e si percepisce un’allusione alla condizione di persone che contribuiscono con la loro presenza/assenza alla determinazione dei luoghi.
Aree intorno a giganteschi capannoni e a fabbriche che disegnano i limiti della città si manifestano allo sguardo del fruitore come giganteschi set di opere filmiche fantascientifiche. Una vacuità resa quasi geometrica dalle strutture architettoniche riprese comunica una sensazione di angoscia che però è priva di derive ideologico-melodrammatiche. Viene in sostanza visualizzato il nulla straniante del mondo della produzione industriale, mondo che crea da decenni nevrosi e disagio collettivo e individuale. Ci aveva già pensato Michelangelo Antonioni a “dipingere” questa realtà nel suo capolavoro Il deserto rosso (1964), grazie a enormi siti industriali, a rumori infernali e a personaggi distrutti dall’alienazione. Tutto ciò avvolto da nebbiose aree rurali del ravennate devastate dall’ingombrante presenza dell’industrializzazione.

Claire Chevrier insiste proprio su questo punto portandoci dentro la fabbrica con la sua macchina fotografica, anche grazie a inquadrature relative a spazi interni che amplificano in modo esponenziale quella sensazione di straniamento già ben evidenziata con le immagini in esterni. La presenza umana viene inserita in modo graduale, attraverso figure intere, ritratti ambientati, fino a giungere al dettaglio. Proprio questa parte di Il fait jour testimonia l’impostazione di cui abbiamo detto all’inizio di questo articolo: assenza di retorica e di visioni estetizzanti.

Gli operai sono raffigurati attraverso una ricerca di oggettività così esasperata da togliere di mezzo (fortunatamente) l’idea della rappresentazione. Esseri umani ci vengono mostrati intenti a compiere operazioni di routine. Queste ultime sono le due facce della stessa medaglia: da una parte l’azione del salariato costretto ad effettuare un gesto (estraneo al proprio mondo interiore) per sopravvivere, dall’altra il ceto imprenditoriale che sulla ripetizione e sul coordinamento strategico di innumerevoli atti quotidiani ripetuti fino allo sfinimento da “altri” costruisce la sua condizione di ricchezza.
L’individuo è così bloccato nella sua realtà di “macchina da lavoro”. Dietro la stiratrice, l’impiegata, il metalmeccanico esiste un complesso universo di sentimenti, idee ed emozioni individuali che svaniscono quando un soggetto diviene strumento destinato alla produzione. Eppure, questa interiorità censurata e dimenticata non è del tutto cancellata e va a determinare quella che potremmo definire “l’anima dei luoghi”.

Le immagini di Claire Chevrier potrebbero sembrare a un’occhio superficiale troppo semplici e oggettive, prive di forza espressiva. È invece esattamente il contrario. Ogni inquadratura della fotografa francese, lontana dalla deleteria idea (tutta esteriore) legata al “bello” fotografico, è un profondo e drammatico racconto del dolore di vivere, della fatica quotidiana e dello scollamento della realtà prodotto dal mito alienante della produzione.
Tutto ciò ci viene mostrato senza la logica della spettacolarizzazione estetica ma solo attraverso l’evocazione generata dall’atto di fabbricazione artistica che diviene espressione di una concezione filosofica che va al di là della singola opera d’arte in sé.

© CultFrame 09/2012

 

IMMAGINI
Tutte le immagini © Claire Chevrier. Da Il fait jour. Courtesy l’artista

INFORMAZIONI
Claire Chevrier – Camminando / A cura di Eric de Chassey / FotoGrafia – Festival Internazionale di Roma
Dal 17 settembre al 4 dicembre 2012
Accademia di Francia / Villa Medici / Académie di France à Rome / Atelier del Bosco / Via Trinità dei Monti 1, Roma / Telefono: 06.6761311
Orario: 10.45 – 13.00 e 14 – 19.00 / lunedì chiuso
Biglietto: intero 6€ / ridotto 4,50€

Alcune immagini di Claire Chevrier nella collettiva Camera Work / A cura di Marco Delogu / FotoGrafia – Festival Internazionale di Roma
Dal 21 settembre al 28 ottobre 2012
Macro Testaccio / Piazza Orazio Giustiniani 4, Roma
Orario: martedì – domenica 16.00 – 22.00 / chiuso lunedì
INFO: 06.671070400

IL LIBRO
Il fait jour – Claire Chevrier / Direzione e coordinamento editoriale: Eric Cez, Pia Viewing / Editore: Editions Loco, Centre Régional de la Photographie Nord Pas-de-Calais, Silvana Editoriale / Formato: 28×24 / 120 pagine / 68 immagini / Prezzo: 32 euro / ISBN: 9788836622818

LINK
Il sito di Claire Chevrier
FOTOGRAFIA – Festival Internazionale di Roma – Il sito
Villa Medici, Académie de France à Rome

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Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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