Tratto dall’omonimo romanzo “pseudo-poliziesco” del siciliano Roberto Alajmo, a sua volta ispirato da un fatto di cronaca, il primo lungometraggio firmato da Daniele Ciprì senza il socio Maresco racconta il disfacimento di una famiglia palermitana, i Ciraulo, con qualche spunto originale rispetto al testo su cui si basa.
Non ci si riferisce solo alle diverse invenzioni di sceneggiatura (firmata da Massimo Gaudosio e dal regista con la compagna Miriam Rizzo) ma all’intera operazione di adattamento della storia di Alajmo allo stile e all’immaginario molto siculo ma anche “pansudista” di Ciprì, che non perde occasione per inserire nel film siparietti comico-musicali, canzoni di Nino d’Angelo, e soprattutto una folta pattuglia di volti e corpi memorabili, “ventrazze” e strabismi compresi.
Per far avviare il racconto, il regista ha inoltre allestito una cornice meno folcloristica e più matura ambientata nello spazio-tempo sospeso di un affollato ufficio postale e affidata al volto di Alfredo Castro, l’attore feticcio delle pellicole del cileno Pablo Larraín, nella parte di un disgraziato detto Busu. Questo personaggio si mantiene con le mance delle persone per cui paga le bollette o sbriga altre commissioni (Ciprì stesso lo ha paragonato a quel Tirone che gli estimatori della coppia Ciprì/Maresco ben ricordano) e trascorre le sue giornate narrando storie agli sconosciuti che gli si siedono accanto, continuando anche se questi se ne vanno, se rimane solo un ragazzo sordomuto (Piergiorgio Bellocchio), un cane randagio o un impiegato indisponente.
È dunque Busu che ci racconta le vicissitudini dei Ciraulo, mantenuti dal capofamiglia Nicola con lo scarso aiuto dell’anziano padre e del figlio sfaticato, a cui accade la disgrazia di perdere la piccola Serenella rimasta uccisa in un agguato mafioso. Da questa tragedia e dai “piccioli di Serenella”, il risarcimento economico che lo Stato concede ai congiunti di una vittima di mafia, nascono altre disavventure, fino all’acquisto di una Mercedes nera (nel romanzo una Volvo) che non porterà fortune bensì la definitiva rovina della famiglia. Con la “roba” infatti chi è cresciuto nella miseria non può che finir male.
Piaccia o meno lo stile di Ciprì, e pur avendo registrate in È stato il figlio alcune incompiutezze, bisogna rimarcare da un lato il suo sforzo di strutturare un racconto limitando il più possibile le digressioni (specie nella seconda parte) senza tradire la propria cifra espressiva e dall’altro la notevole qualità fotografica di questo suo ultimo lavoro. Non a caso il regista è anche direttore della fotografia di pellicole quali Vincere e La bella addormentata di Marco Bellocchio, il cui ultimo film è stato selezionato come quello di Ciprì nel Concorso principale della 69° Mostra di Venezia.
© CultFrame 09/2012
TRAMA
La famiglia Ciraulo è composta dall’ormai sordo Nonno Fonzio, dalla taciturna (nel film) ma determinata Nonna Rosa, dal cinquantenne Nicola che con la moglie Loredana ha avuto i figli Tancredi e Serenella. La responsabilità di mantenere tutti è sulle spalle di Nicola, fino a quando un tragico evento sembra poter portare ai Ciraulo un’inaspettata fortuna.
CREDITI
Titolo: E’ stato il figlio / Regia: Daniele Ciprì / Sceneggiatura: Massimo Gaudioso, Daniele Ciprì dal romanzo E’ stato il figlio di Roberto Alajmo / Fotografia: Daniele Ciprì / Montaggio: Francesca Calvelli / Scenografia: Marco Dentici / Musica: Carlo Crivelli / Interpreti: Toni Servillo, Giselda Volodi, Fabrizio Falco, Aurora Quattrocchi, Benedetto Raneli, Alfredo Castro / Produzione: Passione, Rai Cinema, Babe Films, Palomar, Faro Film / Distribuzione: Fandango / Paese: Italia, Francia, 2012 / Durata: 90′
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Filmografia di Daniele Ciprì
Fandango
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – Il sito