Roma non la si può fotografare, Roma non la si può filmare. E’ stata ed è già foto/filmata da milioni di sguardi, dal processo di stratificazione visuale della storia, dal cinema, dal susseguirsi incessante di fatti di cronaca e dal sommarsi compulsivo delle “cose” della politica che trovano ospitalità (spesso inutilmente) sui media e sugli organi di informazione.
Rappresentare questa metropoli nei suoi spazi più conosciuti significa (ri)produrre luoghi comuni,(ri)presentare storie già viste e già vissute, alimentare consapevolmente stereotipi e banalità. Il pericolo, in tal senso, è quello di cadere (dal punto di vista creativo) nella ridondanza sterile e senza prospettive dell’ovvio.
Un modo c’è, però, per evitare tutto ciò. Come tutti i grandi agglomerati urbani, Roma va aggirata, trasfigurata, ripensata, dimenticata. In sostanza, va immaginata come un ambiente “altro” dove tutto sia irriconoscibile, estraneo, misterioso, perfino ostile. Oppure, in ultima istanza, va sezionata, smembrata, rivelata nelle sue verità più nascoste, nelle sue brutture, nella sua decadenza. Solo divenendo oggetto di studio (scientifico, politico, filosofico) freddo e costante può ritornare ad essere “oggetto” di uno sguardo creativo.
Ebbene, tutte le questioni (negative) elencate all’inizio di questo articolo sono rintracciabili se, ripercorrendo a ritroso le vicende di Fotografia – Festival Internazionale di Roma, si analizza con lucidità l’evoluzione per nulla innovativa della Commissione Roma. Nel corso del tempo, autori riconosciuti a livello internazionale hanno prodotto lavori caratterizzati in modo chiaro dai fattori che abbiamo sin qui evidenziato. I casi più eclatanti di “fallimento” sono stati a nostro avviso, rileggendo il tutto oggi alla luce delle mutazioni del Festival, quelli di Joseph Koudelka (2003), Martin Parr (2006), Gabriele Basilico (2008) e Tod Papageorge (2010).
L’edizione 2012 della manifestazione romana riserva invece un’interessante sorpresa, un cambio di rotta deciso (forse già abbozzato, anche se non del tutto riuscito, lo scorso anno con Alec Soth) verso un’elaborazione della metropoli romana connessa all’idea di immaginazione, di narrazione visiva legata non alla triste pratica della rappresentazione realistica del mondo quanto piuttosto a una concezione della fotografia vicina al territorio ricco di pericoli della libera poesia.
Ad affrontare il rischio positivo di perdersi in questa città (piuttosto che di ritrovarsi) è stato Paolo Ventura, artista di cui ci siamo già interessati su questa rivista.
L’autore milanese ha mantenuto fede al suo stile e alla sua poetica, elementi basati sul concetto di “riedificazione personale” della realtà. Le sue immagini incentrate sulla ricostruzione del mondo possiedono un gigantesco pregio: tolgono fortunatamente di mezzo il vero soggetto del lavoro fotografico, lasciano il compito di produrre senso all’evanescente evocazione del soggetto stesso e al pensiero di chi guarda.
Nel caso specifico, Roma scompare di scena, diviene luogo dechirichiano senza identità, ambiente enigmatico in cui tutto appare sospeso e non devastato dal pesante fardello della Storia.
La città della cupola della Basilica di San Pietro e dell’Altare della Patria viene ridimensionata a testo visuale sull’evocazione, sulla presenza/assenza di segni, sulla dimensione onirica dell’esistenza, sulla paura dell’ignoto. Il personaggio dello “zuavo”, che compare nel lavoro in questione, è un fantasma che si materializza in un ambiente vacuo e privo di vere coordinate spazio-temporali, è uno sguardo libero da condizionamenti sulla città di Roma. Vediamo, così, immagini immuni da stereotipi che proiettano il fruitore in uno spazio della metropoli che si configura come territorio di solitudini e angosce tipiche del sogno.
Roma si intravede (lontana), tra modellini, elementi reali e irreali, personaggi ambigui, fantasmi, palazzi anonimi, interni vuoti, angoli deserti. E proprio per questo motivo che risulta tangibile, che riesce a parlare al nostro sguardo, che riesce a comunicarci la sua tragica condizione di capitale europea distrutta dalla politica, dal turismo, dai disservizi e dal caos quotidiano. Così, ognuno di noi non può fare altro che percepirla individualmente nella sua vera profonda essenza solo grazie alla potenza salvifica dell’immaginazione.
© CultFrame 09/2012
INFORMAZIONI
Paolo Ventura – Lo zuavo scomparso / FotoGrafia – Festival Internazionale di Roma / Commissione Roma
Dal 21 settembre al 28 ottobre 2012
Macro Testaccio / Piazza Orazio Giustiniani 4, Roma / Telefono 060608
Orario: martedì – domenica 16.00 – 22.00 / chiuso lunedì
Direttore artistico: Marco Delogu
SUL WEB
Il sito di Paolo Ventura
FotogGrafia – Festival Internazionale di Roma – Il sito