Sottigliezze o opportunità. Tra analogico e digitale

© Pietro D'Agostino. Dittico
© Pietro D'Agostino. Dittico

© Pietro D’Agostino. Dittico

Riprendo il filo del discorso avviato in Un tempo non fissato, nel quale già avvertivo  la presenza di un pressante interrogativo: il processo di fissaggio, operazione fondamentale per accedere veramente nella fotografia cosiddetta analogica, si può mettere in una qualche relazione con la fotografia digitale, e se sì, quale?
Per cercare di comprendere l’ambito in cui ci stiamo muovendo, anche se non esaustivo, mi sembra un buon punto di partenza quanto scrive Claudio Marra in Fotografia e pittura nel Novecento (edizioni Bruno Mondadori, Milano 1999):

“Lo scontro allora, bisogna infine dirlo, non è tra vecchi cultori del sistema fotochimico e nuovi adoratori del digitale, bensì tra esponenti di due modelli di pensiero perennemente in contrasto fra loro: quello della presenza e quello dell’assenza. Uno scontro, insomma, tra chi ritiene comunque inaccettabile la rinuncia a una qualche forma di riferimento al reale […] e chi invece pensa di poterne fare totalmente a meno, muovendosi solo per linee interne ai linguaggi.”

In quale direzione Marra ci spinge a riflettere? A mio avviso ci vuole far considerare il differente terreno in cui queste due modalità si sviluppano e concretizzano, al di là dell’immagine fotografica in sé, nella quale potrà anche non essere presente l’informazione di un “referente fisico” (sempre Marra) ma in cui non sarà possibile l’assenza di una attribuzione concettuale. E cioè che la nostra cognizione sarà di non saper distinguere con quale sistema è stata prodotta e, nel momento della sua fruizione, non staremo certo lì a domandarci se è stata realizzata con il sistema analogico o digitale (anche se vi sono persone che prestano attenzione più a questo aspetto piuttosto che osservare l’informazione che hanno di fronte).
Altro elemento da tenere nella massima considerazione è che ciò che ci spinge nella scelta e all’uso di una tecnologia sia determinato da necessità dettate da una pulsione creativa, da un’idea da esperire, e non dall’attualità del tipo di macchina che intendiamo usare, indistintamente analogica o digitale; fermo restando che l’una o l’altra comunque preciserà il campo d’azione a noi più congeniale.

Dopo queste premesse torno alla domanda iniziale. Da una riflessione, maturata all’interno delle mie esperienze con entrambi i dispositivi, non ho trovato nessun elemento che possa confutare una relazione diretta in digitale rispetto alla funzione singolare del fissaggio in analogico (e spero che qui qualcuno mi smentisca), fatta eccezione, come concetto, del sistema di salvataggio di un file di un’immagine digitalizzata. La probabile non relazione in questione è dovuta proprio alla differenza dell’area in cui ci si trova ad operare. Con l’analogico è necessario un contatto fisico (una presenza), pertanto passibile di situazioni non controllabili; con il digitale (tranne nella fase di ripresa) ci si distacca dalla relazione diretta con ciò che ci circonda, in tal modo si genera un’assenza e si opera in un vasto e complesso programma numerico in cui nulla viene lasciato al caso. Insomma, se da un lato vi è la possibilità di sfuggire, a volte anche casualmente, dalla nostra dualità con il mondo fondata sulla ragione per approdare in un possibile latente altrove, nell’altro ci è preclusa. E’ chiaro che non ci è preclusa la nostra immensa potenzialità di espressione e di ricerca, quello che non possiamo fare, o forse è meglio dire, i più non possono fare, è uscire da un contenitore, apparentemente infinito, che si alimenta all’interno del proprio linguaggio predeterminato, già stabilito; a meno che non diventiamo tutti degli ingegneri e/o programmatori di sistemi informatico-digitali e ci inventiamo qualcosa d’altro ampliando il sistema in questione.

Per sgombrare ogni dubbio, non sono contro l’evoluzione delle tecnologie, anzi, usandole cerco di trarne tutti i vantaggi necessari per raggiungere l’obiettivo che intendo perseguire. Tali questioni che in primo momento sembreranno di poco conto hanno invece un valore preciso nell’uso del dispositivo fotografico, sia esso analogico o digitale, non solo per compiere l’esperienza, ma anche per il principio di attivazione o meno di un processo, indistintamente, filosofico prima e percettivo poi o il suo esatto contrario. A tutti gli effetti potremmo considerare queste differenze delle sottigliezze di poco conto oppure delle opportunità se a noi preme, come prima accennato, esperire un’idea piuttosto che valutare l’attualità di uno strumento. Ad ognuno la propria scelta.

© CultFrame – Punto di Svista 11/2012

Pietro D Agostino

Pietro D’Agostino è attivo nel campo delle arti visive e nel tempo matura un rapporto intimo e inconscio con la luce usandola, attraverso la fotografia, il video ed altri dispositivi tecnologici, come strumento espressivo e di indagine. Partecipa e collabora a varie iniziative performative con musicisti e poeti di area sperimentale e di ricerca. Dall'ottobre 2016 è Presidente di Punto di Svista - Associazione culturale

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