Si conferma come una tra le realtà espositive più interessanti del panorama milanese la Brand New Gallery, fondata e diretta da Chiara Badinella e Fabrizio Affronti. Nei bellissimi spazi di via Farini, che richiamano atmosfere internazionali, la programmazione proposta è decisamente stimolante e orientata verso la ricerca.
Vedere una galleria “giovane” che ha il coraggio e l’entusiasmo di proporre artisti stranieri di spessore ma sconosciuti in Italia e, soprattutto, di impostare una programmazione costituita da progetti site-specific cercando di fare ricerca è rincuorante. Di certo l’Italia può annoverare alcune realtà indiscutibilmente interessanti e molto dinamiche che hanno debuttano negli ultimi mesi, ma rimane comunque una palpabile stanchezza nelle proposte delle molte gallerie anche affermate che costituiscono la rete nazionale del settore, per la gran parte fiaccate da una crisi che è prima di tutto culturale.
I responsabili della Brand New puntano alla qualità e non hanno paura della riflessione teorica, anzi osservando le iniziative snocciolate nel corso dei mesi è evidente il desiderio della galleria di riportare in primo piano il dibattito critico e di stimolare lo spettatore a una riflessione più ampia attorno alla pratica artistica, una riflessione che scavalchi con un bel salto i recinti di una nazionalismo stantio e di alcuni stilemi fin troppo assodati. Tra gli artisti della scuderia da segnalare ci sono ad esempio Ori Gersht, Cristina Lei Rodriguez, Johannes Vanderbeeck e Alessandro Roma, protagonista di una bellissima personale alcuni mesi or sono, intitolata Il Sole Mi Costrinse ad Abbandonare il Giardino. Alla scelta accurata di giovani la cui cariera è già consolidata all’estero, si affianca un tentativo importante di ricostituire un collezionismo attento, non esclusivamente speculativo o orientato da mode passeggere: altro punto di merito.
Beyond the Object si inserisce perfettamente in questa linea di proposte e alza la posta in gioco attraverso una messa in scena tutt’altro che accomodante. Partendo dal manifesto dell’Anti Form elaborato dallo scultore americano Robert Morris negli anni ’60, la mostra accosta autori differenti per età, provenienza e pratica, cercando però un filo rosso nella produzione di questi stessi artisti, accomunati da una particolare attenzione al processo di creazione dell’opera e dalla volontà di mettere in discussione lo statuto dell’oggetto artistico e la sua fruizione da parte dello spettatore. Essendo dalle parti dell’arte processuale e camminando sulle ceneri del Minimalismo, è facile intuire che non si tratti di una mostra “accattivante”: le opere oscillano tra la cruda evidenza del materiale e l’aleatorietà della forma finale, tra destabilizzazioni percettive e rigore esecutivo. Eppure, proprio oggi sembra avere senso ritornare a discutere di forma e processo, oggi che i linguaggi plastici tornano a riaffermarsi nelle fiere di tutto il mondo e le gallerie – insieme agli spettatori – sembrano sedotti nuovamente dagli oggetti e dalla loro natura inesorabilmente ambigua.
Sembra curioso ma se tra gli articoli più interessanti rintracciabili sulle pubblicazioni scientifiche attuali vi sono senza dubbio le scoperte legate ai materiali e alle loro potenzialità, forse una riflessione sul rapporto tra ente, forma, processo e fruizione davvero meriterebbe uno spazio maggiore e una produzione teorica più articolata.
Perdersi nelle superfici geometriche di Barbara Kasten o nelle lievi concrezioni di colla di coniglio delle tele di James Krone, casuali tanto da sembrare muffe, oppure nelle superfici nate da un impulso imprevedibile di David Ostrowski, qui realizzate con olio, sporco, e champagne, o ancora nell’esperimento di Julian Hoeber, che costruisce 1000 oggetti tradendo il concettualismo del progetto attraverso la scelta di effettuare interventi personali per modificare la standardizzazione dell’oggetto stesso prodotto, produce una strana sensazione di spaesamento e fascinazione, che invita a interrogarsi ripetutamente sulla impermeabile evidenza delle opere esposte.
Se siete alla ricerca di collettive low brow, pittori figurativi intimisti, mercatini di Natale con gli oggetti commissionati agli artisti, siete finiti nel posto sbagliato. Se, al contrario, cercate un laboratorio dove la ricerca sia davvero il motore propulsore delle proposte, fate attenzione alla programmazione dei prossimi mesi di questa galleria.
© CultFrame 02/2013
IMMAGINI
1 Davina Semo. X MARKS THE ROT, 2012. Rete metallica e pittura su cemento rinforzato. 40.6 x 40.6 x 3.8 cm. Courtesy of Nicelle Beauchene Gallery, New York and the artist
2 Barbara Kasten. Studio Construct 8, 2007. Stampa a getto d’inchiostro Gliclée. 136.5 x 111 cm. Courtesy the artist.
3 Julian Hoeber. Execution Changes #68 (XS, Q1, TMJ, DC, Q2, LMJ, LC, Q3, BMJ, DC, Q4, RMJ, DC), 2011-2012. Acrilico e legno . 48.9 x 33 x 5.7 cm. Courtesy Blum & Poe, Los Angeles and the artist.
4 David Ostrowski. F (Champagne), 2012. Olio, sporcizia e champagne su tela, legno. 101 x 81 cm. Courtesy Peres Projects, Berlin and the artist.
5 James Krone. WH3, 2012 Olio su tela. 100 x 80 cm. Courtesy Kavi Gupta Gallery and the artist
INFORMAZIONI
Beyond the Object
Dal 15 gennaio al 9 marzo 2013
Brand New Gallery / Via Carlo Farini 32, Milano / Tel: 02.89053083
Orario: martedì – sabato, h 11:00/13:00 – 15:00/19:00
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Brand New Gallery, Milano