Come già nel caso di This Is Not a Film (presentato a Cannes nel 2011), in cui Panahi metteva in scena una propria giornata di riflessioni e tormenti, anche Closed Curtain è stato girato “clandestinamente” e inviato a un grande festival internazionale (in questo caso Berlino) senza il permesso delle autorità iraniane. Il regista è stato infatti condannato a non poter lasciare il suo paese, concedere interviste e tanto meno girare e firmare film per i prossimi venti anni: dopo essere stato incarcerato per quasi tre mesi, e rilasciato a seguito delle pressioni internazionali, corre ora il rischio di essere costretto a scontare una pena a sei anni di reclusione per avere realizzato un nuovo film infrangendo i divieti che gli sono stati imposti.
Closed curtain è un’opera che nasce in tale contesto e che lo racconta in maniera inizialmente allegorica e poi sempre più esplicita. Il film può essere infatti diviso in due parti. Nella prima, Panahi dimostra assieme al suo amico Kamboziya Partovi, co-regista e attore protagonista, di potere e sapere, nonostante tutto, fare cinema: l’incipit del film è un saggio ben scritto e ben diretto di come si possa ambientare una storia nell’unico set di una grande casa e filmarla con mezzi molto leggeri, videofonini compresi.
Nella seconda metà, il gioco allegorico di cui nella prima si sono poste le basi, si fa intenzionalmente didascalico. Lo stesso Panahi entra quindi in campo dando corpo in modo diretto alle proprie ossessioni di uomo recluso cui sarebbe impedito lavorare, esprimersi, mostrarsi al mondo. Le riflessioni del regista il cui alter-ego gradualmente scompare di scena, sono più che melanconiche, anche disperate. Probabilmente taluni spettatori avrebbero preferito continuare ad assistere a una pura rappresentazione cinematografica, ma il fatto che il regime iraniano abbia fatto di Panahi, suo malgrado, un simbolo, ha naturalmente imposto all’autore di prendersi lui stesso carico di questo ruolo.
Finzione, documentario, autobiografia si intrecciano dunque in Closed Curtain, ragionando intorno al dilemma dell’artista che a dispetto di qualsiasi censura o condanna non può ritirarsi dal mondo e lasciare che continui a girare senza di lui. Il film può essere criticato per qualche ridondanza, ma la sua struttura circolare, l’alternarsi di piani sequenza realizzati con camera a mano e inquadrature fisse e l’esattezza della costruzione del discorso che rivolge al pubblico sono una reazione intima e coraggiosa all’insopportabile persecuzione subita dal suo autore. Che ci auguriamo possa superare la scritta “The End” posta alla fine dei titoli di questo film e tornare fare cinema liberamente.
© CultFrame 02/2013
TRAMA
Un uomo e il suo cane si rifugiano in una casa isolata, dalle finestre oscurate. L’uomo sta scrivendo un film, e vuole proteggere il suo cane dalla polizia islamica che considera questi animali “impuri”. Ma la realtà non tarda a bussare alla porta, intrecciandosi alle fantasie e alle paure dello stesso Jafar Panahi.
CREDITI
Titolo originale: Parde / Titolo internazionale: Closed Curtain / Regia: Jafar Panahi, Kamboziya Partovi / Sceneggiatura: Jafar Panahi / Fotografia: Mohamad Reza Jahanpanah / Montaggio: Jafar Panahi / Interpreti: Jafar Panahi, Kamboziya Partovi, Maryam Moghadam, Hadi Saeedi / Produzione: Jafar Panahi Film Productions / Iran 2013 / Durata: 106 minuti
SUL WEB
Filmografia di Jafar Panahi
Filmografia di Kamboziya Partovi
Berlinale – Il sito