In questa intervista vengono prese in esame la dimensione progettuale del collettivo fotografico e le possibili articolazioni espressive di questa particolare modalità creativa. A rispondere alle domande è Rocco Rorandelli, fotografo del collettivo TerraProject, già attivo a livello internazionale da diversi anni.
Come nasce l’idea di formare un collettivo di fotografi? Quali sono state le motivazioni che hanno spinto te e gli altri a iniziare un percorso comune e di condivisione?
Prima del progetto TerraProject ci conoscevamo come amici ed eravamo tutti interessati ad un certo tipo di fotografia; l’idea comune era quella di raccontare il “territorio” attraverso l’utilizzo di mappe geografiche. Questa modalità ci portò nel tempo a creare una nostra visione comune nell’affrontare certi temi attraverso il mezzo fotografico.
Inizialmente pensavamo che potesse essere tutto basato su un semplice rapporto di scambio e confronto, ma poi è iniziata una vera fase di condivisione. Abbiamo cercato uno strumento che ci potesse supportare nella decisione di entrare in un mondo a noi sconosciuto, avevamo necessità di fare fotogiornalismo senza essere schiacciati da tutte quelle dinamiche che si incontrano appena si entra in quel contesto. Da qui la scelta di intraprendere un percorso condiviso.
Da subito abbiamo creato un sito internet in cui ci siamo uniti con i nostri singoli lavori e poi in maniera casuale è nato il nostro primo progetto. Ci siamo resi conto dell’opportunità che questa unione ci potesse dare; ottimizzava il lavoro, funzionava perché tutti avevamo lo stesso modo di pensare sia rispetto a come affrontare un determinato tema sia come raccontarlo attraverso il mezzo. Scoprimmo che gli elementi comuni erano sicuramente l’approccio e la distanza con il soggetto.
A quel punto ci fu una prima fase si sperimentazione nell’utilizzo della scrittura collettiva. Nel tempo siamo entrati in contatto con tanti collettivi, confrontandoci soprattutto all’estero, e questo ci ha veramente aiutato a capire quanto questa modalità oggi è parte del nostro modo di operare. Indubbiamente nel tempo abbiamo affinato sia il modo di costruire un progetto insieme, sia il risultato finale.
Stiamo portando avanti un lavoro molto complesso in giro per il mondo sugli investimenti nella terra e sulla trasformazione dell’agricoltura da piccola scala a scala industriale andando in tutti e cinque i continenti. Siamo arrivati a questo e riusciamo a coordinare un progetto del genere semplicemente partendo da alcuni scatti fatti insieme anni fa, intorno a Firenze.
1 © Michele Borzoni. View of Florence. In the center Basilica of Santa Croce. From Florence and Venice: The toll of the past / 2 © Simone Donati. Florence. An Asian tourist in Piazza Signoria by the David statue. From Florence and Venice: The toll of the past / 3 © Rocco Rorandelli. Vincenzo Morelli in the emergency village of the town of San Giuliano in Puglia where he has been living since 2002 earthquake. From Italian earthquakes 1968-2002 / 4 © Rocco Rorandelli. A view from Calitri of a never finished freeway (Irpinia earthquake). From Italian earthquakes 1968-2002
I fotografi tendono a portare avanti il proprio lavoro in maniera individuale. Cosa ne pensi, anche alla luce del progetto collettivo TerraProject?
Il collettivo non è un’esperienza per tutti, si deve partire da una base di umiltà. Nel collettivo non emergerà l’Ego del fotografo ma piuttosto il risultato finale, la realizzazione del progetto. L’idea che in un progetto collettivo ci siano rifermenti al fotografo non ci interessa quando si crede fermamente nel progetto; TerraProject non è solo un archivio di immagini ma è una modalità, una visione collettiva per raccontare il mondo e certe tematiche. Per portare avanti un lavoro collettivo hai bisogno di scrivere il progetto, pensare al budget, contattare gli editori, cercare fondi, fino a produrre le immagini; è un processo lungo che prevede tante fasi e dove ognuno dei membri partecipa con sue precise responsabilità.
Quando trattate una tematica sociale quali sono le vostre aspettative? Pensate che affrontare certi temi, soprattutto in Italia, può portare a una riflessione più approfondita su ciò che voi trattate?
Nel collettivo si possono trovare sia elementi che vanno verso una fotografia più artistica con un contenuto giornalistico che entra in secondo piano e sia elementi legati ad un contenuto strettamente giornalistico da inchiesta. In effetti, queste due dinamiche si uniscono e noi cerchiamo sempre di dare attenzione ad un contenuto giornalistico con un taglio estetico che noi sentiamo parte dello stile TerraProject, una fotografia pulita senza essere né troppo dinamica né troppo drammatica. Cerchiamo sì un coinvolgimento del soggetto ma anche manteniamo una certa distanza che ci consente di non essere invadenti sia verso il soggetto fotografato ma anche verso chi poi guarderà l’immagine.
La finalità informativa e di denuncia emerge sempre nei nostri lavori ma questa non deve essere necessariamente negativa ma piuttosto di approfondimento. Per esempio, il progetto degli investimenti agricoli nel mondo è partito da un’osservazione sulla distruzione di un modello agricolo per cui in questo caso potremmo parlare di denuncia, ma andando avanti nel progetto si è arrivati ad una sorta di investigazione sulle conseguenze che un certo tipo di trasformazione provoca su un territorio che non è detto che sia negativa, può infatti includere questioni oggettivamente positive.
Quando si parla di investimenti agricoli i media semplificano questo problema, la questione quindi per noi diventa più complessa, cerchiamo di fare un lavoro in cui il tutto venga trattato in maniera più approfondita e non liquidata superficialmente con il termine land grabbing ma resa nella sua complessità. In questo caso, la denuncia è verso la semplificazione fatta dai media sul tema e non tanto su quello che succede nel mondo rispetto al problema generale.
1 © Michele Borzoni. Explosive Stromboli eruption. From Italian volcanos / 2 © Michele Borzoni. Roberto Cusolito, fisher in Stromboli. From Italian volcanos / 3 © Rocco Rorandelli. Lampedusa. Pasquale De Rubeis, wooden boat maker and repairer. From Italy’s extremes / 4 © Pietro Paolini. Otranto. The sun rising in a olive trees field near Otranto. From Italy’s extremes
Non tutti i magazine sono interessati a certe tipologie di inchieste riguardanti il territorio italiano. Puoi dirci perché secondo te accade ciò?
Nel 2006 ci siamo formati e abbiamo iniziato l’esperienza collettiva, poco dopo siamo entrati in un’agenzia italiana e lì abbiamo respirato gli ultimi sentori di quel fotogiornalismo editoriale e di approfondimento che funzionava e aveva un certo tipo di impostazione. Dopo pochi anni c’è stata una sorta di parabola discendente a livello editoriale, si iniziava a sentire l’imposizione di certe regole e le richieste da parte degli editori erano nella direzione di storie più leggere o comunque affrontate da un punto di vista più positivo. Oggi si è arrivati al punto che la maggior parte degli editori cercano principalmente storie positive e d’intrattenimento.
La pubblicità, quella rimasta, comanda e detta le regole, per cui il problema sostanzialmente è da imputare alle scelte di mercato. Meno pubblicità significa anche meno fondi e meno inchieste, quando il budget diventa basso si è costretti a lavorare per pochi giorni, questo sicuramente non permette al fotografo di lavorare in modo approfondito
Il vostro approccio documentario vi ha portato all’utilizzo di altri strumenti, come il video. Pensi che sia un passaggio obbligato oggi? E’ una scelta maturata all’interno del collettivo o forse riguarda principalmente l’impatto che determinati prodotti multimediali producono nel mercato della fotografia?
Noi ci siamo avvicinati al video quando ci siamo resi conto che potevamo aggiungere delle informazioni. Oggi è limitativo pensare che l’unico modo di veicolare progetti fotografici sia la realizzazione di un libro o una mostra. Sono cambiati i mezzi di informazione. Siamo oramai consapevoli che il 90-95% degli utenti interessati alla fotografia passano dalla rete; per cui devi essere capace di capire cosa ti permette di fare la rete, dove la fotografia viene consumata molto più velocemente per cui l’attenzione è minore. Per questo motivo bisogna riuscire a tenere alta l’attenzione del fruitore. Secondo noi il video multimediale può farlo.
È chiaro che non basta mettere foto e video insieme. A mio avviso ancora non si capisce che strada si sta prendendo e forse non si comprende effettivamente qual è il valore aggiunto oggettivo in questa fase di maggiore complessità. Personalmente non lo considero uno strumento chiaro, non dà risposte univoche, o forse non ci sono, per cui è opportuno cercarne e trovarne altre. Ben venga il multimedia ma si possono fare anche altre cose, come lo sviluppo di progetti per i tablet. Direi che è un’esigenza legata al fatto che sono cambiati i modi in cui si richiede informazione da chi la fornisce.
Il progetto in Bosnia fu scelto proprio perché avevamo la possibilità di fare il video oltre alle immagini. Per noi quindi diventò un elemento essenziale nel lavoro che stavamo facendo, era importante aggiungere qualcosa che sarebbe mancato se si fosse sviluppato solo a livello fotografico.
Secondo me bisogna sfruttare le possibilità della rete trovando la sinergia tra questi due elementi, non semplicemente dire: aggiungo delle foto ad un video. Video e foto insieme formano qualcosa di più complesso dal punto di vista dell’informazione e ciò richiede un certo tipo di attenzione, ricerca e organizzazione.
1 © Simone Donati. Taranto: Italy’s most polluted town. A view of the ILVA steel plant at night. / 2 © Pietro Paolini. Brasil. Lucas Verde do Rio, Brasil, April 2012. A view of the field around the city. From Land inc. / 3 © Simone Donati. Tumarrano, Sicily. A flock of sheep near the oil platform “Casteltermini 1″. From Saudi Italia / 4 © Pietro Paolini. Alimuri unfinished hotel in Vico Equense. From Italian Coastline
Quando iniziate un progetto, chi lo propone? Quali percorsi mettete in atto? Che tipo di informazioni raccogliete? Ognuno di voi ha un ruolo ben specifico?
Ognuno porta le proprie idee. Ci si incontra in riunioni collettive e si sceglie insieme. Se ne trovano due o tre che potrebbero interessare tutti. Ci dividiamo i ruoli; ognuno cerca informazioni; ci si confronta sui temi scelti, analizzandoli nella loro complessità, temi che possano abbracciare o un arco temporale ben preciso o una zona geografica molto ampia. La nostra organizzazione è di tipo orizzontale, da noi si lavora in maniera democratica intesa in senso universale. Se a uno di noi non convince il progetto, il progetto non parte.
Le informazioni le cerchiamo in base al lavoro che stiamo per iniziare. Si contattano Ong e tutte quelle organizzazioni internazionali e nazionali che lavorano sul tema. Da questa ricerca iniziale abbiamo già un quadro di ciò che sta succedendo; approfondiamo anche attraverso testi e documentari e in alcuni casi entriamo in contatto diretto con chi ci ha già lavorato, come i giornalisti che lavorano in consorzi e che approfondiscono tematiche in modo più libero, slegati dalle dinamiche editoriali, o anche registi di documentari. Tutto questo ci serve per organizzare la nostra rete che ci ha sempre portato a sviluppare i nostri progetti con coerenza ed efficacia.
Per quanto riguarda la realizzazione delle immagini, ognuno di voi è libero di esprimersi liberamente? Oppure vi siete dati delle regole precise?
I primi nostri lavori collettivi sono nati in medio formato e secondo noi quello è rimasto il trademark di TerraProject come “lavoro collettivo”, nei progetti manteniamo questo formato, questa linea, questa idea. Lo stile TerraProject è un confronto, uno scioglimento, una mescolanza dei vari stili che sicuramente vengono fuori nel lavoro dei singoli ma nel collettivo è diverso. Viene deciso tutto prima, si discute e ci si confronta sul tipo di immagini da realizzare. E’ chiaro che in questo ci deve essere la complicità e il piacere di tutti di lavorare in un certo modo. Negli anni abbiamo anche sperimentato altre modalità come per esempio operare in piena libertà espressiva ma poi ci siamo accorti che alla fine si convergeva sempre lì. Secondo noi, dalla scrittura collettiva deriva un quinto fotografo che è TerraProject che non identifica nessuno di noi quattro, ma identifica tutti e quattro insieme.
Da circa un anno, se non sbaglio, siete membri proprio come collettivo di una importante agenzia fotografica italiana, perché questa scelta?
Noi in Italia siamo rappresentati con il nostro archivio da un’agenzia. Questo perché abbiamo visto che la gestione delle immagini in archivio da parte nostra non ci portava molto dal punto di vista economico. Ci abbiamo riflettuto e poi abbiamo deciso di entrare, ma questa scelta è maturata attraverso un vero confronto, la nostra entrata in agenzia doveva avvenire solo in una determinata maniera e cosi è stato.
© CultFrame – Punto di Svista 03/2013
TerraProject Photographers è un collettivo di fotografia documentaria fondato in Italia nel 2006 e composto da Michele Borzoni, Simone Donati, Pietro Paolini e Rocco Rorandelli (fotografi) e Anna Iuzzolini (project coordinator). Tra i primi collettivi fotografici nati nel nostro paese, TerraProject si è proposto sin dal principio non soltanto come una piattaforma condivisa di promozione per i suoi membri, ma anche come strumento di sperimentazione di un’originale metodologia di “scrittura collettiva”, con la creazione di reportage di gruppo aventi come filo conduttore una ricercata uniformità stilistica. Da sempre attenti sia alla realtà italiana che a questioni globali, i membri di TerraProject hanno svolto numerosi reportage fotografici individuali e collettivi, sia utilizzando il medium fotografico classico che attraverso l’uso di diversi strumenti multimediali.
I lavori del collettivo sono stati pubblicati sulle pagine di riviste del mondo tra le quali Newsweek, Der Spiegel, GEO (Germania, Francia, Italia), Stern, Time, Le Monde Magazine, Paris Match, Financial Times Magazine, ed in Italia su Io Donna, D di Repubblica, Vanity Fair, Internazionale, L’Espresso, IL, Sportweek. Molti dei reportage sono stati esposti a New York, Beijing, Berlino, San Paolo, Madrid, Barcellona, Dublino e in numerose città italiane, ed i membri del collettivo sono stati ospiti di vari festival fotografici. I membri del collettivo hanno ricevuto prestigiosi riconoscimenti internazionali tra i quali il World Press Photo (2010 e 2012), il Premio Canon (2010) e l’Anthropographia Award for Human Rights (2011).