Il grande Gatsby. Un film di Baz Luhrmann

SCRITTO DA
Eleonora Saracino

Gatsby aveva “uno di quei sorrisi rari, dotati di un eterno incoraggiamento, che si incontrano quattro o cinque volte nella vita (…) e poi si concentrava sulla persona a cui era rivolto con un pregiudizio irresistibile a suo favore”. Francis Scott Fitzgerald descrive così il suo Grande Gatsby nelle pagine del romanzo pubblicato nel 1925, sublime testimonianza di un’epoca che aveva già in nuce il proprio fallimento e che esorcizzava l’imminente fine stordendosi di musica e di alcool come in un infinito party in cui si vuole ritardare il più possibile l’arrivo dell’alba e del ritorno a casa.

Baz Luhrmann, già avvezzo alla (ri)lettura dei classici in chiave postmoderna non ha saputo resistere alla tentazione di mettere in scena – letteralmente – l’indimenticabile eroe di Fitzgerald collocandolo in quella che è la peculiare “epoca” luhrmanniana, ovvero il tempo storico fuso con il contemporaneo attraverso sapienti alchimie cromatiche e musicali, come già era avvenuto per Romeo + Giulietta e Moulin Rouge!
Tuttavia questo film, pur nell’atmosfera ibrida e visionaria del regista australiano, non pulsa di quella vitalità che infonde anima e sangue all’invenzione scenica.  Nel variopinto “caravanserraglio” delle feste di Gatsby tutti si muovono, è vero, seguendo le regole “di quel galateo appropriato ad un parco di divertimenti” ma restano figure senza respiro assorbite da un ambiente la cui sontuosità, estrema fino allo stordimento, sembra addirittura risucchiarne il senso.
Luhrmann, che ama spingersi al di là del testo, farlo proprio e shakerarlo tra le note, le immagini e le suggestioni del coevo, stavolta colpisce più lontano dal cuore, limitandosi a mirare agli occhi come ad incantare il solo sguardo. E in questo trionfo di visiva magnificenza Gasby spicca di splendore autentico tra i bagliori effimeri che lo circondano, grazie all’interpretazione di un Di Caprio che è l’unico ad infondere vita al suo personaggio, a farne quel sognatore indefesso descritto da Fitzegarld, l’uomo che, nel suo inseguire una chimera, sembra appartenere in modo assoluto alla sua epoca ma, nel contempo, far parte di quell’era universale – tragica e splendida, tenace e fragile – che è la dimensione umana.

“Se la personalità è una serie ininterrotta di gesti riusciti – scriveva il grande autore americano – allora c’era in lui qualcosa di splendido, una sensibilità acuita alle promesse della vita…” Di Caprio assorbe queste parole, penetra nella prosa molto più a fondo del regista stesso e ci regala il “suo” Gasby. Non è Redford (nell’omonimo film del ’74), né nessun altro (perché mai come in questo caso ogni paragone sarebbe sterile quanto inutile) ma, unicamente, un attore che si fonde nel ruolo, ne respira e ne comprende la natura e rende vivo il personaggio, al di là dell’icona letteraria. Il fascino intramontabile di Gatsby è nel film ma non “è” il film.

Il talento di Di Caprio si diffonde nell’ atmosfera degli ambienti, si muove sugli sfondi sontuosi, si adegua al ritmo di un’opera-spettacolo dove le sonorità degli anni ruggenti del jazz si amalgamano alla musica del contemporaneo con Lana Del Rey e Beyoncé, Jay Z e Bryan Ferry ed è – anche e soprattutto – ciò che, allo spegnersi delle luci dello show, resta ben impresso nella memoria.
Tutto il resto non è che la differenza di anima e di estro tra lui e gli altri e che segna, platealmente, la distanza tra il Jay/Leo e i comprimari; essi, infatti, qui non sono altro che sbiadite figure di contorno come Carey Mulligan, una Daisy di vacua frivolezza ben lungi dal provocare anche una solo vaga alchimia con il suo amante o l’incolore Tobey Maguire nei panni del narratore.

Il film di Luhrmann si offre a noi nello sfarzo di una lussuosissima festa dove, proprio come ad un ricevimento di Gasby, si entra senza invito perché in quell’universo inebriante, semplicemente, si va ma, come in certi scintillanti party di Capodanno, si ha la sensazione che ci si debba divertire per forza e che tanta ricchezza – di beltà, musica e dettagli – non sia che un’ostentata opulenza. Nello stordimento di una visionarietà “ad effetto” e nell’ (ormai abusato) uso del 3D si soffoca il sogno di Gasby,  si smarrisce il senso del fitzgeraldiano “futuro orgiastico” e, a schermo spento, viene voglia di andarli a ritrovare. Tra le pagine del libro.

© CultFrame 05/2013

 

TRAMA
New York, 1922. Attraverso la voce narrante di Nick Carraway si traccia parabola della una vita, unica e inimitabile, di Jay Gatsby, un misterioso milionario dal passato avvolto nella leggenda. Casualmente suo vicino di casa, Nick fa la sua conoscenza e viene trascinato nell’incredibile mondo di Gatsby fatto di feste sontuose e ricca mondanità. In realtà, Jay è innamorato follemente di Daisy, conosciuta in gioventù ma alla quale non potè chiedere la mano perché troppo povero, e ha dedicato la sua vita a costruirsi un “regno” dove poter, finalmente, far entrare l’amata. Daisy, sposata con un uomo ricco e rozzo che la tradisce sistematicamente, si lascia incantare dal fascino di Gatsby ma le conseguenze di questa relazione impossibile sfoceranno in tragedia.


CREDITI

Titolo originale: The Great Gatsby / Regia: Baz Luhrmann / Sceneggiatura: Baz Luhrmann, Craig Pearce tratto dall’omonimo romanzo di F. Scott Fitzgerald / Montaggio: Jason Ballantine
/ Scenografia: Catherine Martin / Fotografia: Simon Duggan / Musica: Caraig Armstrong / Interpreti: Leonardo Di Caprio, Tobey Maguire, Carey Mulligan, Joel Edgerton, Ilsa Fisher, Jason Clarke / Produzione: Bazmark, Red Wagon Entertainment / Usa, 2013 / Distribuzione: Warner Bros. Italia / Durata:120 minuti

LINK
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CULTFRAME. Le fotografie di Sue Adler, Douglas Kirkland, mary Ellen Mark e Ellen von Unwerth nel libro di Moulin Rouge. A film directed by Baz Luhrmann di Filippo M. Caroti
Sito ufficiale del film The Great Gatsby (Il grande Gatsby) di Baz Luhrmann
Filmografia di Baz Luhrmann
Warner Bros.

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Eleonora Saracino

Eleonora Saracino, giornalista, critico cinematografico e membro del Sindacato Critici Cinematografici Italiani (SNCCI), si è laureata in Storia e Critica del cinema con una tesi sul rapporto Letteratura & Cinema. Ha collaborato con Cinema.it e, attualmente, fa parte della redazione di CulfFrame Arti Visive e di CineCriticaWeb. Ha lavorato nell’industria cinematografica presso la Columbia Tri Star Pictures ed è stata caporedattore del mensile Matrix e della rivista Vox Roma. Autrice di saggi sul linguaggio cinematografico ha pubblicato, insieme a Daniel Montigiani, il libro “American Horror Story. Mitologia moderna dell'immaginario deforme” (Viola Editrice).

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