La grande bellezza. Un film di Paolo Sorrentino

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis

Come verranno percepite fuori dai confini italiani le vistose e mortuarie immagini che compongono le sequenze de La grande bellezza? Cosa riuscirà a cogliere chi non vive tutti i giorni questa città guardando i flussi visivi del film di Sorrentino?
La magniloquenza ossessiva del passato, i palazzi opulenti della nobiltà papalina, spazi metafisici e luoghi surreali, strade vuote e inquietanti, giardini eleganti ed enormi terrazze. Soggetti umanamente mostruosi si aggirano nella notte della metropoli, si ritrovano nel delirio informe, kitsch e iper volgare di feste che rappresentano in maniera nitida il nulla da cui vengono generate. Preti ossessionati dal cibo, spogliarelliste rifatte, drammaturghi falliti, scrittori senza futuro e patetici collezionisti d’arte contemporanea. Ed ancora: nobili decaduti che vivono in scantinati, ricchi senza lavoro, pseudo sante ed ex soubrette della televisione. Una fauna atroce e “debosciata” popola una città fantasmatica che celebra senza soluzione di continuità il suo funerale. Si tratta, utilizzando una definizione inventata dal sito Dagospia, di un terrificante e funebre “cafonal”, neanche più divertente e folle. Solo sepolcrale e squallido.

Certamente, alcuni potranno sostenere che in verità non si tratti di un film solo su Roma, sull’anima di una città che nasconde, senza ombra di dubbio, dei lati oscuri. Ciò forse è vero, ma allo stesso tempo possiamo sbilanciarci in un’affermazione precisa: un lungometraggio del genere non si sarebbe potuto realizzare in nessun altro luogo.
Non chiameremo in causa Fellini, troppo banale e prevedibile, e forse anche sbagliato. Possiamo, però, constatare come La grande bellezza spazzi via, grazie alla  potenza visionaria del suo autore, tutta la chincaglieria visuale che la storia della fotografia e quella del cinema, a cominciare da William Klein e William Wyler, hanno diffuso per il mondo.

Lo sguardo dello spettatore è sopraffatto da un eccesso compositivo che annulla ogni possibilità di rielaborazione soggettiva delle immagini. Non ci sono sogni e illusioni nelle sequenze de La grande bellezza. Tutto è bloccato in uno sfarzo marmorizzato, in una dimensione estetica pietrificata che non consente alcuna via di uscita. Sostiene il personaggio centrale Jep Gambardella: “Roma fa perdere un sacco di tempo”. Si tratta di un’affermazione che non possiede alcun significato romantico e che mette a fuoco lo spirito di una metropoli che non ha più alcuna forza propulsiva ma che perpetua il suo “mito” negli stereotipi consumistici e folcloristici prodotti fuori da essa.

Sorrentino ha edificato un affresco spettacolare dal punto di vista registico e drammaticamente angoscioso sotto quello contenutistico. Ha scelto, con acutezza, la strada complessa del non racconto, del frazionamento drammaturgico scomposto, e si è affidato alla sua capacità di esprimersi tramite un’architettura formale unica nel panorama cinematografico italiano. Tutto l’impianto comunicativo del film poggia sulla forza espressiva delle inquadrature e sulle evoluzioni della macchina da presa. Ma non c’è traccia di compiacimento estetizzante e tecnicistico nelle scene che compongono il film.

Oltre alla sua struttura visuale, l’opera di Sorrentino si regge sulla cristallina credibilità dei tre personaggi principali, interpretati da Toni Servillo, Carlo Verdone e Sabrina Ferilli. Certo, se volessimo analizzare con spietata lucidità La grande bellezza non sarebbe difficile rintracciare passaggi discutibili, talune dilatazioni non necessarie, alcuni brani fin troppo ripetitivi (specie nelle sue fasi conclusive), ma richiedere a un lavoro come questo perfezione ed equilibrio sarebbe negare lo spirito poetico/espressivo che sta alla sua base.

La grande bellezza è un’opera crudele e dolorosa nella quale il grottesco diviene cartina di tornasole per leggere in profondità lo stato agonizzante di una città che spinge all’oblio, all’abbandono di tutto. Il sogno, di tanto in tanto, emerge e arriva, evanescente, a sostenere momentaneamente la fantasia e l’immaginazione, ma tutto si consuma solo in una visione vacua e sfuggente come il mare che appare sul soffitto di una camera da letto.

© CultFrame 05/2013

 

TRAMA
Jep Gambardella è un giornalista sessantacinquenne. Da quando ne ha ventisei vive a Roma e passa le sue notti in feste della nobiltà decaduta della città. Molti anni prima aveva scritto un romanzo di grande successo ma poi il vuoto assoluto. Roma l’ha completamente cambiato trasformandolo in un “mondano” senza qualità. Eppure, la sua capacità di vedere il mondo davanti a sé gli fa comprendere pienamente la tragicità della sua condizione e il vuoto che avvolge la città.


CREDITI

Titolo: La grande bellezza / Regia: Paolo Sorrentino / Soggetto: Paolo Sorrentino / Sceneggiatura: Paolo Sorrentino, Umberto Contarello / Musiche: Lele Marchitelli / Fotografia: Luca Bigazzi / Montaggio: Cristiano Travaglioli / Scenografia: Stefania Cella / Costumi: Daniela Ciancio / Interpreti: Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Isabella Ferrari, Giorgio Pasotti, Luca Marinelli, Carlo Buccirosso, Giorgia Ferrero, Pamela Villoresi, Iaia Forte, Galatea Ranzi, Anna Della Rosa, Giovanna Vignola, Roberto Herlitzka, Massimo De Francovich / Produzione: Indigo Film / Distribuzione: Medusa / Paese: Italia, 2013 / Durata: 150’

LINK
CULTFRAME. This Must Be the Place. Un film di Paolo Sorrentino di Eleonora Saracino
CULTFRAME. Il divo. Un film di Paolo Sorrentino
CULTFRAME. L’amico di famiglia. Un film di Paolo Sorrentino di Nikola Roumeliotis
PUNTO DI SVISTA. This Mut Be the Place. Incontro con Paolo Sorrentino
di Simone Vacatello
Filmografia di Paolo Sorrentino
Medusa

 

Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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