55. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia – Videoinstallazioni all’Arsenale e al Padiglione Centrale Giardini

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis

Una teca posta al centro dello spazio espositivo contiene un grande libro, aperto, dalla copertina rossa. Si tratta di un’opera di straordinaria valenza culturale e artistica: The Red Book.  L’autore è Carl Gustav Jung, colosso del pensiero del XX secolo, psicoterapeuta e individuo visionario. In questo volume Jung esprime tutta la sua creatività ricomponendo le sue allucinazioni, i suoi sogni a occhi aperti, le sue visioni attraverso disegni ed elaborazioni cromatiche impressionanti. Il tutto orchestrato secondo la forma dei manoscritti miniati.
Abbiamo descritto quest’opera allucinata e delirante per introdurre la nostra riflessione sulla presenza “visionaria” della videoarte (e dunque di videoinstallazoni) nell’ambito della 55. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia.

A proposito di iniziative utopistiche e sognatrici non possiamo che iniziare il nostro percorso dall’opera di Steve McQueen intitolata One Upon a Time. Si tratta un video basato sulla proiezione di centosedici immagini che hanno contrassegnato una delle “missioni” più “folli” messe in atto dal genere umano. Nel 1977 la NASA lanciò nello spazio due sonde: Voyager 1 e 2. Queste “astronavi” senza piloti furono caricate di materiali di vario genere che avrebbero dovuto spiegare a eventuali esseri extraterrestri cosa succedeva sulla Terra e quale tipo di intelligenza fosse all’opera sul nostro pianeta. Queste informazioni dovevano essere comunicate anche attraverso delle immagini in grado di raccontare come l’umanità avesse organizzato la propria esistenza e quale grado di complessità avesse raggiunto la tecnologia a sua disposizione. Assistere a questa proiezione genera nello spettatore sentimenti contrastanti: da una parte, infatti, McQueen evidenzia l’aspetto poetico di questo tentativo di comunicazione universale, dall’altra fa emergere la profonda ingenuità degli esseri umani incapaci di immaginare altre forme di divulgazione interplanetaria più adatte a intelligenze probabilmente superiori.

La fantasia, l’impostazione visionaria, addirittura la fantascienza è al centro dell’operazione messa in atto anche dal francese Neil Beloufa. Il video intitolato Kempinski (2007) è ambientato in Mali. Nella profonda e intensa notte africana, alcuni individui descrivono una possibile evoluzione tecnologica e “mentale” dell’umanità prefigurando percorsi siderali e attrezzature ultramoderne. I soggetti ripresi grazie alla presenza di piccole luci collocate nello spazio buio raccontano questa nuova società come se fosse già esistente e operativa, determinando una sorta di corto circuito temporale, tra immagine e racconto. Una lunga sequenza del video è impostata su una videocamera che grazie a un camera-car delinea un lunghissimo spostamento orizzontale. Viene percorso, nella notte, quello che sembra essere un ponte. Si tratta di un viaggio mentale, di uno spostamento del corpo e dello sguardo nello spazio e nel tempo che ricorda quello che uno dei personaggi di Stalker di Andrej Tarkovski effettua improvvisamente, fuori dal racconto, lungo le autostrade cittadine di Tokio: un’allucinazione a occhi aperti che trasforma il tragitto nello spazio di un corpo in una pura elaborazione mentale.

La tensione visionaria continua in un video di Ed Atkins. The Trick Brain (2012) proietta il fruitore in un universo di oggetti appartenuti al padre del surrealismo: André Breton. La videocamera si muove in uno spazio non molto grande e collega in un ideale percorso di libertà espressiva cose che rimandano alla sostanza del pensiero stesso di Breton. È una fuga visuale e ossessiva all’interno di un abisso creativo che ancora oggi rappresenta uno dei punti più alti del pensiero del Novecento.

Questa idea del percorso libero e dell’accumulo di immagini è rintracciabile anche nella grande installazione orchestrata dal cinese Kan Xuan. Millet Mounds (2012) ha come elemento narrativo centrale i tumuli funerari usati nella Cina settentrionale. Kan Xuan, utilizzando centosettantatre video e la tecnica del fermo immagine, colpisce in maniera energica la capacità percettiva dello sguardo del visitatore, il quale è inondato da frame che si susseguono con grande rapidità e che illustrano le tombe imperiali cinesi, trasportando chi guarda in una dimensione di fruizione totalmente delirante.

Ritmo completamente diverso è, invece, quello orchestrato da Harun Farocki. L’artista ceco con Transmission (2007) ha concentrato il suo impulso creativo sulla questione del rapporto tra gli esseri umani e luoghi sacri, monumenti e memoriali, testimoniando con la videocamera la tendenza degli individui a stabilire con queste realtà una relazione fisica e tattile.

Infine, alcune considerazioni sull’imponente video-scultura firmata da Dieter Roth: Assoli (1997-98). Si tratta di una gigantesca struttura basata sull’accostamento di centotrentuno televisori. Ogni monitor presenta dei passaggi della vita dell’autore. Sono attività giornaliere effettuate durante un periodo di convalescenza da una malattia. Il tempo del lavoro, quello dello studio e della lettura, quello del riposo e quello della nutrizione, sono tutti passaggi che vanno a comporre una sinfonia esistenziale intima e delicata. La dimensione umana dell’artista è proposta nella sua totale semplicità al fruitore che nel compiere l’atto della visione non ha mai la sensazione di essere un voyeur quanto piuttosto quella di condividere sensazioni e istanti di un individuo nella loro “straordinaria ordinarietà”. Un video diario, quello di Dieter Roth, che rappresenta una sintesi perfetta tra idea di narrazione visuale e capacità di gestione dello spazio espositivo.

© CultFrame 06/2013

 

IMMAGINI

1 Carl Gustav Jung. The Red Book [page 655], 1915-1959. Paper, ink, tempera, gold paint, red leather binding. 40 x 31 x 10cm. © 2009 Foundation of the Works of C.G. Jung, Zürich. First published by W.W. Norton & Co., New York 2009

2 Neil Beloufa. Kempinski (2007). Video. Ph. Orith Youdovich

3 Ed Atkins. The Trick Brain, 2012–13. Stills from HD video with 5.1 surround sound. Courtesy the artist, Galerie Isabella Bortolozzi, Berlin and Cabinet Gallery, London

4 Kan Xuan. Millet Mounds (2012). Videoinstallazione (dettaglio). Ph. Orith Youdovich

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CULTFRAME. 55. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia – Fotografia all’Arsenale e al Padiglione Centrale Giardini di Maurizio G. De Bonis
CULTFRAME. Il Palazzo Enciclopedico. 55. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia di Redazione CultFrame – Orith Youdovich
Biennale d’Arte di Venezia – Il sito

 

 

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Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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