Petrochemical America ⋅ Un libro di Richard Misrach e Kate Orff

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis

Un’inquadratura in campo lunghissimo: una distesa abbandonata, incorniciata ai due lati da una fitta vegetazione, una grande nuvola bianca che sovrasta il visibile, un cielo caratterizzato da un intenso azzurro. Sullo sfondo, lontanissimo e confuso in una molle foschia, quello che sembra essere un sito industriale. Un’immagine surreale e inquietante: una zona probabilmente acquatica ma che è anche un territorio magmatico e melmoso, contraddistinto da un anomalo e ributtante colore verdastro. La vegetazione che appare visibile è rinsecchita, cadente, già morta. Infine, una gigantesca fiamma che scaturisce da una ciminiera industriale e che squarcia il buio della notte calante come una sorta di soffione demoniaco che annuncia il disastro.

Quelle appena descritte sono tre delle opere fotografiche che aprono il volume intitolato Petrochemical America, pubblicato da Aperture nel 2012. Autore degli scatti è Richard Misrach, fotografo americano che da alcuni decenni lavora intorno al tema del paesaggio, con esiti spesso sorprendenti, e che nel volume in questione è artefice della sezione denominata Cancer Alley. L’altra parte del libro è invece firmata dalla studiosa del paesaggio e architetta Kate Orff, la quale con Ecological Atlas propone un ampio approfondimento tecnico-scientifico, composto da grafici, disegni, mappe e informazioni dettagliate e di estremo interesse.

Argomento centrale di questa complessa opera editoriale è la raffigurazione, con relativo apparato di indicazioni e dati, di una gigantesca zona dello Stato della Louisiana, in special modo di centocinquanta miglia che accompagnano il fiume Mississipi totalmente devastate dall’ingombrante e deturpante presenza di una sviluppatissima industria petrolchimica.

Le opere di Misrach, pubblicate a tutta pagina, propongono una realtà distrutta da un’attività produttiva che incide fortemente sul territorio e comunicano al lettore visioni destabilizzanti che evidenziano come una presenza eccessiva dell’azione del genere umano in un ambiente seppur di notevoli dimensioni geografiche abbia finito per far emergere una sorta di assenza minacciosa. Gli spazi naturali sembrano essere stati aggrediti da un nemico subdolo quanto mostruoso ed esprimono un senso di morte al quale è impossibile sfuggire. Una nebbia oppressiva caratterizza diverse inquadrature, mentre sullo sfondo si intravedono stabilimenti industriali che, per sempre, hanno mutato gli equilibri non solo dell’estetica dei luoghi ma anche delle vite delle persone.

L’assenza, dicevamo. Ma anche una sensazione di vuoto, una perdita di orientamento dello sguardo che non riesce a trovare più punti di riferimento, fino ad arrivare alla simmetrica fotografia conclusiva nella quale Richard Misrach cerca, evidentemente, di rintracciare una specie di armonia archetipica che si configura ormai, paradossalmente, come un frustrante tentativo artificiale di ripristino di equilibri perduti.

In un mercato editoriale mondiale dedicato alla fotografia che produce molto ma che spesso propone lavori non così significativi, Petrochemical America si manifesta come un’operazione di altissimo profilo fotografico, sociale e culturale e ci fa comprendere come la disciplina fotografica possa essere collocata positivamente all’interno di un processo di studio non ordinario e prevedibile del territorio. In questo caso, le raggelanti immagini di Misrach non hanno lo scopo di accompagnare un testo, e neanche quello di documentare in modo tradizionale, quanto piuttosto quello di evocare l’assurdità dell’azione dell’umanità che appare separata dal mondo, “altro” rispetto al mistero enigmatico del reale e che si manifesta come una malattia incurabile: quella che caratterizza il rapporto del genere umano con il mondo, un rapporto che vorrebbe essere contraddistinto dal controllo/utilizzo assoluto della razza umana sul pianeta Terra. Tale patetica aspirazione sembra determinare solo follia e straniamento, sospensione e vacuità. E sono proprio questi fattori che emergono con forza dalle opere di Richard Misrach.

Alcune delle fotografie dell’autore americano si collocano, inoltre, all’interno di un sentiero espressivo preciso che riguarda non solo la fotografia statunitense degli ultimi quaranta anni ma anche il cinema contemporaneo, a cominciare da Wim Wenders. Ma scorrendo senza soluzione di continuità le inquadrature di Misrach si possono percepire anche gli echi del cinema di Andrej Tarkovskij e in particolar modo di Stalker (1979). In questo caso Misrach è per il fruitore, esattamente come può essere considerato uno dei tre personaggi centrali del lungometraggio tarkovskijano, una guida visuale all’interno di un abisso, di un luogo che mostra l’insuccesso umano riguardante il drammatico tentativo di raggiungere la perfezione e il controllo totale, e di vedere esaudite tutte le sue ambizioni riguardanti il malinconico desiderio di una vita felice.

© CultFrame 07/2013

CREDITI
Titolo: Petrochemical America; Autori: Richard Misrach (Cancer Alley), Kate Orff (Ecological Atlas) / Editore: Aperture Foundation / Pagine: 216 / Anno: 2012 / Prezzo: 80 $ / ISBN: 978-1-59711-91-1

SUL WEB
Aperture Foundation

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Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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