Cinque paesaggi – 1983-1993 ⋅ Mostra di Guido Guidi

SCRITTO DA
Annarita Curcio
© Guido Guidi. Porto Marghera, 1989

“Chi vuole guardare bene la terra deve tenersi alla distanza necessaria”, ovvero, volendo parafrasare questo pensiero aforismatico che lo scrittore Italo Calvino scrive ne Il barone rampante, per conoscere davvero il mondo che è sotto i nostri occhi occorre vedere le cose vicine come fossero lontane, quasi, vien voglia di dire, da stranieri. Ed è forse proprio questa una delle tante, possibili chiavi di lettura con cui avvicinarsi alla mostra retrospettiva del fotografo Guidi Guidi attualmente in corso presso l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione di Roma – e aperta al pubblico fino al 29 novembre. ⋅

La mostra dal titolo Cinque paesaggi, 1983-1993 è la prima personale di Guido Guidi a Roma ed è stata ideata dall’ICCD insieme al curatore Antonello Frongia (parallelamente, una selezione di quaranta opere è esposta a Lugano presso la Photographica Fine Art Gallery). Successivamente le circa 130 foto in mostra presso l’ICCD passeranno a Cesena, nello spazio espositivo del Dipartimento di Architettura dell’Alma Mater Studiorum (Università di Bologna). Sia l’ICCD per il suo essere prima di tutto un archivio, sia il Dipartimento di Architettura sono luoghi che meglio di ogni altro possono ospitare le foto di Guidi con l’intento di promuovere una riflessione nuova e tutt’altro che scontata su parole spesso abusate come paesaggio, territorio, locale – di contro a globale – e architettura; parole che sono da sempre al centro delle ricerca visiva di Guidi.

Ma andiamo con ordine; come suggerisce il titolo della mostra, i curatori hanno prediletto un preciso lasso temporale quello, appunto, che va dal 1983 al 1993. Se Guidi avvia l’esplorazione del paesaggio fin dagli anni Sessanta, tuttavia proprio a partire dai primi anni Ottanta si fa più imperiosa in lui l’urgenza di conoscere e documentare un’area geografica del nostro territorio che va dal cesenate fino a Venezia e alle prealpi venete, facendo uso di una macchina fotografica di grande formato. Guidi percorre questo tragitto con meticolosa e sistematica serietà, mosso dallo stesso spirito di ricerca dell’esploratore che viaggia in terre remote e a lui sconosciute. Poco importa che Cesena sia la città dove Guidi è nato e che Venezia sia poi diventata la sua città d’adozione; questi luoghi sono esplorati e percorsi da Guidi con gli occhi dello straniero che vuole capire e documentare. Chissà, se i viaggiatori del Grand Tour che tra Settecento e Ottocento percorrevano la nostra penisola da Nord a Sud avessero avuto una macchina fotografica, forse l’avrebbero fotografata con la stessa precisione di Guidi. Infatti il fotografo non si limita a “sessioni fotografiche” mordi e fuggi, al contrario predilige un appostamento ripetuto, compiuto settimanalmente e per anni. Prima sulla base di una iniziativa personale, poi su incarichi del Dipartimento di Urbanistica dell’Università IUAV di Venezia.

© Guido Guidi. Tagliata, 1984

Ma che cos’è un territorio? Esso è paesaggio, ovvero natura addomesticata e antropizzata, ma anche architettura e nella sua versione più degenere edilizia, e la maniera in cui questi elementi interagiscono e dialogano tra loro, a volta armoniosamente altre volte meno. Questa non sempre pacifica interazione viene registrata da Guidi nelle sue immagini, così che esse divengono documenti fondamentali per comprendere come un preciso territorio, quello poco sopra indicato, sia andato modificandosi negli anni.

Percorrendo le sale dello spazio espositivo si passa da fotografie che documentano il paesaggio agrario di Cesena, ad altre che mostrano l’environment urbano di Mestre, Padova e Treviso, la via Romea, il polo industriale di Porto Marghera, e infine un sito storico come quello del Monte Grappa, teatro del primo conflitto mondiale. Tanti luoghi emblematici del nostro paese, che pur avendo fisionomie totalmente diverse sono documentati da Guidi con una medesima vocazione, o meglio ancora attitudine. Infatti più che di stile è a nostro avviso più appropriato parlare di attitudine, che ricorda per certi versi quella di Palomar, il protagonista del libro omonimo di Calvino, uno scrittore che è più volte ritornato sul concetto di “vedere”. In questo libro, una raccolta di ventisette racconti brevi, Calvino descrive Palomar come un uomo dal carattere riflessivo e taciturno, come un uomo che guarda. Calvino concentra nei tre scritti finali buona parte delle sue riflessioni sul “vedere”. Nel primo di questi scritti: “Mondo guarda il mondo”, l’autore si pone alcune fondamentali interrogazioni:

“È possibile guardare le cose dal di fuori? E se ciò è possibile di chi sono gli occhi che guardano”.

E infine:

“Ma, poi, come si fa a guardare le cose dal di fuori lasciando da parte l’io?”.

© Guido Guidi. Citadella, 1984

Queste riflessioni ci paiono pertinenti per comprendere il lavoro di Guidi.  Se Calvino resta senza una risposta definitiva, incapace di risolvere alla radice i problemi di “convivenza” tra soggettività e scienza nel pensiero contemporaneo, Guidi invece a suo modo una via d’uscita la trova, promuovendo delle esperienze del vedere “minime” e circoscritte , ovvero delimitate a ciò che cade sotto i propri occhi. E in questo guardare le cose né da troppo vicino, né da troppo lontano Guidi non abdica al proprio io in favore di una osservazione neutrale e oggettiva, sempre che questa sia possibile, e tuttavia il proprio mondo egli lo osserva come dal di fuori, da straniero appunto. E qui ci approssimiamo alla quadratura del cerchio: sembra quasi che Guidi voglia dirci che l’unica via percorribile in un mondo, come quello attuale, in cui tutto pare appiattito, è quella di scegliere il proprio punto di vista, non temendo di operare esclusioni o gerarchie di preferenza, tanto più se queste  preferenze conducono verso luoghi poco battuti, non alla moda, “vernacolari”, considerati marginali dall’iconografia ufficiale.

© CultFrame 01/2013

INFORMAZIONI

Guido Guidi. Cinque paesaggi 1983-1993 / A cura di Antonello Frongia

Roma
Dal 20 settembre al 29 novembre 2013
Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione
Via di San Michele 18
Orario: Tutti i giorni 10.00 – 18.00 / Ingresso libero

Lugano
Dal 10 ottobre al 30 novembre 2013
Photographica Fine Art Gallery (selected works)
Via Cantonale 9

Cesena
Dal 17 dicembre 2013 al 19 gennaio 2014
Chiesa dello Spirito Santo
Dipartimento di Architettura, Alma Mater Studiorum, Università di Bologna
via Milani 15

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Annarita Curcio

Annarita Curcio è laureata al DAMS (Università di Roma Tre) e ha un Master of Arts in Critica Fotografica (University of Durham, Inghilterra). Lavora nel campo dell'editoria fotografica, ha curato mostre, tenuto corsi per varie scuole di fotografia e ha pubblicato saggi e interviste per Around Photography, CultFrame Arti Visive, Fotografare, Gente di Fotografia, Quaderni Asiatici, Slow Food. Si interessa da tempo alle culture asiatiche, specialmente al Giappone, approfondendone aspetti legati alla cinematografia e alla cultura visiva. E' autrice dei saggi: "Le icone di Hiroshima. Fotografie, storia e memoria" (Postcart 2011) e "Il dragone d'acciaio. Interviste a dieci artisti cinesi contemporanei" (Postcart, 2015).

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