Still Life ⋅ Un film di Uberto Pasolini

SCRITTO DA
Eleonora Saracino

Due eventi fondanti dell’esistenza – la nascita, la morte – avvengono in solitudine; forse è per questo che gran parte degli esseri umani la rifuggono e tentano di mettersene al riparo come a scampare quella paura primordiale del venire al mondo o di abbandonarlo.
John May ha fatto dell’esser solo la sua condizione di vita e, anche se si intuisce che ciò non sia avvenuto per sua scelta, egli sembra accettare quel quotidiano incolore, scandito dal ritmo ripetitivo di un lavoro in cui applica metodo e precisione.

Un mestiere singolare quello di May e, in qualche modo, “speciale” proprio come l’anima pura che in lui alberga. John, infatti, si occupa delle esequie di coloro che dipartono senza lasciare congiunti; uomini e donne di cui si conosce solo il volto e il nome e dei quali questo piccolo impiegato comunale si fa carico di accompagnare nell’ultimo viaggio. Laddove trova indizi di vita (manoscritti, lettere, cartoline, appunti…) egli ricompone un brandello di esistenza di questi sconosciuti e, per il funerale, scrive anche un discorso di addio o, rispettando le religioni di ciascun trapassato, ne organizza il rito funebre scegliendo con accuratezza la musica adatta secondo la fede o la provenienza geografica. Nel suo completo scuro, impugnando l’inseparabile valigetta, May attraversa il grigiore dei suoi giorni tutti uguali, archiviando con precisione ogni caso, mosso dalla sottile speranza di poter trovare, almeno per qualcuno, un congiunto – seppur lontano o perso nell’oblio del tempo – che possa rendere l’estremo omaggio al dipartito di turno.
Nel suo minuscolo appartamento, mesto e scialbo, come tutto ciò che sembra circondarlo John May conserva le foto di coloro di cui si è occupato, incollandole su un grande album, come a (ri)costruire un microcosmo di sconosciuti abbandonati, al quale dare un ultimo riparo in una sorta di galleria di “famiglia” in cui ogni volto si lega all’altro unito da un comune destino di solitudine.

Uberto Pasolini (brillante produttore e qui alla seconda prova dietro la macchina da presa dopo Machan – La vera storia di una falsa squadra del 2008) racconta una piccola, ma nel contempo immensa, storia che parla di vita partendo dal suo opposto: la morte. Tra gli estremi che si toccano il regista incastona la speciale esistenza di May, invisibile tra gli invisibili, testimone unico della fine delle vite degli altri alle quali ridà, nell’estremo distacco, dignità e senso riscattandole da un anonimo trapasso. Nel suo silenzioso “raccogliere” le esistenze il mestiere di John si fa, tuttavia, obsoleto e quando i tagli al dipartimento impongono il suo licenziamento egli trova in Billie Stoke, il suo ultimo caso, una nuova forza che lo spingerà fuori dalla fosca routine dei suoi giorni.

Pasolini con una regia di straordinaria misura tocca le corde delicatissime della vita e della morte, orchestrando una sinfonia raffinatissima di immagini in cui il cromatismo di ogni inquadratura riflette lo stato d’animo del protagonista e, come in un crescendo musicale, alza gradualmente i toni riflettendo la metamorfosi emotiva di un essere tanto apparentemente comune, quanto profondamente speciale. Billy Stroke, del quale May ricostruisce, frammento dopo frammento la vita di padre e di soldato, di amante o di amico, esce dall’oblio al quale la sua triste fine sembrava averlo destinato, per diventare di nuovo una persona da ricordare e, persino, da rimpiangere portando a galla, nelle persone che un tempo lo amarono, quei sentimenti mai sopiti ma a lungo soffocati dai rancori del passato.

Pasolini, al confine tra questo e l’altro mondo, incrocia fatalmente le esistenze – agli antipodi – di Billy e John permettendo a quest’ultimo di illuminare la propria di una luce, finalmente, nuova. Il timido affacciarsi di un palpito del cuore, l’increspatura di un sorriso o l’inedita vivacità di un gesto passano, come pennellate di colore su una tela cupa, sul volto di May, al quale Eddie Marsan, formidabile caratterista e qui ad una compiuta e sublime prova di attore, infonde una straordinaria intensità, permeata di poesia e fragilità umana. E quando quella chance di felicità, che pare intravedersi in controluce tra le pieghe della sua mesta esistenza, si infrange su una tragica fatalità, Still Life si eleva a parabola lirica del senso stesso del vivere e in un toccante epilogo, in cui l’immaginifico si fa commozione, si compie quel destino descritto da Borges che “per lungo e complicato che sia, consta in realtà di un solo momento: il momento in cui l’uomo sa per sempre chi è”.

© CultFrame 12/2013

TRAMA
John May è un impiegato del comune, schivo e solitario, che ha il compito di trovare i parenti più prossimi di colori che sono morti da soli. Un lavoro che svolge con meticolosità e grande precisione e al quale dedica la sua intera vita. Quando i tagli imposti dalla crisi provocano il suo licenziamento, John si dedica con particolare impegno al suo ultimo caso che lo porterà, inaspettatamente, ad intraprendere un inatteso viaggio nella sua stessa esistenza.


CREDITI

Titolo: Still Life / Titolo originale: Id / Regia: Uberto Pasolini / Sceneggiatura: Uberto Pasolini / Fotografia: Stefano Falivene / Montaggio: Tracy Granger / Musica: Rachel Portman / Interpreti: Eddie Marsan, Joanne Froggatt, Karen drury, Neil D’Souza, Michael Elkins, Tim Potter / Produzione: Redwave Filmsm, Embargo Films in associazione con Cinecittá Studios e con Rai Cinema / Paese: Gran Bretagna, 2013 /  Distribuzione: Bim / Durata: 87 minuti

SUL WEB
Filmografia di Uberto Pasolini
BIM

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Eleonora Saracino

Eleonora Saracino, giornalista, critico cinematografico e membro del Sindacato Critici Cinematografici Italiani (SNCCI), si è laureata in Storia e Critica del cinema con una tesi sul rapporto Letteratura & Cinema. Ha collaborato con Cinema.it e, attualmente, fa parte della redazione di CulfFrame Arti Visive e di CineCriticaWeb. Ha lavorato nell’industria cinematografica presso la Columbia Tri Star Pictures ed è stata caporedattore del mensile Matrix e della rivista Vox Roma. Autrice di saggi sul linguaggio cinematografico ha pubblicato, insieme a Daniel Montigiani, il libro “American Horror Story. Mitologia moderna dell'immaginario deforme” (Viola Editrice).

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