Al suo sesto lungometraggio, James Gray sembra mutare direzione ma si tratta di un cambiamento soltanto apparente poiché pur accostandosi, qui, ad un cinema “classico”, in realtà egli resta fedele alle sue tematiche di fondo: la famiglia e i suoi rapporti spesso laceranti, la complessità dei sentimenti, i vincoli di sangue e il legame con le proprie origini.
Elementi che appartengono al suo stile registico e che in C’era una volta a New York si esprimono con ampie pennellate in quello che vuole essere un grande affresco d’epoca, filtrato attraverso la luce della Storia che illumina la vicenda tragica di Ewa, emigrata polacca sbarcata in America con la sua valigia di sogni.
Gray, di origini ebreo-russe, ha dichiarato di aver voluto realizzare un’opera “molto personale”, seppur non autobiografica, che esprimesse “problematiche ed emozioni” a lui vicine e che avesse, comunque, “molti legami” con la sua famiglia. E per farlo ha scelto la via del melodramma mettendo in scena, quasi letteralmente, le dolorose tappe del percorso travagliato della protagonista.
Nell’America degli anni Venti – sapientemente fotografata da Darius Khondji che cristallizza ogni sfondo nelle sfumature cromatiche del seppia e dell’ocra quasi a far emergere i luoghi e i personaggi dalle nebbie del tempo – la vita di Ewa, sradicata dalla sua terra e in ansia per la sorella malata e per il futuro assolutamente incerto che la attende, si fa simbolo di quelle speranze, sovente disperate, delle migliaia di immigrati che approdavano, in quegli anni, ad Ellis Island.
Ed è proprio questo suo senso metaforico a costituire, soprattutto, il grande limite del film. La protagonista, bella e sensibile, costretta a prostituirsi per sopravvivere e intrappolata nel gioco perverso del villain che l’ha in pugno è l’eroina di una storia già vista troppe volte e della quale è fin troppo facile intuire le reazioni o i sentimenti.
I personaggi di Gray soccombono alla prevedibilità dello stereotipo e finiscono, per questo, per smarrire lo spessore emotivo e, conseguentemente, allontanare dallo spettatore un legame empatico con loro. L’indubbia capacità espressiva di due attori di talento come Joaquin Phoenix e Marion Cotillard (della quale il doppiaggio vanificherà l’egregio lavoro svolto sulla voce e sull’accento poiché nella versione originale recita per un terzo del film anche in polacco) non basta a sollevare le sorti di questo film in cui la piattezza narrativa soffoca le buoni intenzioni di partenza e, pur omaggiando le atmosfere scorsesiane o i cromatismi bressoniani, Grey non riesce ad affrancarsi dal grigiore di un racconto che procede per reiterazioni di concetti e situazioni.
Un bel quadro d’epoca e un omaggio, fin troppo ostentato, all’opera e al melodramma, sulle note di Puccini e di Wagner, in cui all’estetica dell’immagine non corrisponde la profondità, o almeno l’originalità, del carattere dei personaggi ed è come se il regista newyorkese, “ansioso” di voler tracciare la parabola tragica di un’anima sradicata, in grado di conservare una certa purezza pur nell’attraversare l’umana bruttura, si sia concentrato di più sulla forma a scapito del contenuto. Una sorta di compito in bella calligrafia – ma senza il fascino, né la profondità della parola – che si risolve, tuttavia, in un’occasione mancata.
© CultFrame 01/2014
TRAMA
Siamo nel 1921 ed Ewa Cybulski, insieme a sua sorella, lasciano la Polonia per approdare a New York. Arrivate ad Ellis Island i medici diagnosticano una malattia polmonare a Magda e separano le due donne. Mentre la sorella viene messa in quarantena, Ewa arriva in città dove il losco Bruno, promettendole di aiutarla, la spinge invece a prostituirsi. Pur di riuscire a riavere con sé Magda la giovane non esita a condurre una vita di squallore e quando conosce Orlando, un illusionista cugino di Bruno, spera di riuscire a costruirsi un futuro migliore ma gli eventi precipiteranno in modo drammatico.
CREDITI
Titolo: C’era una volta a New York / Titolo originale: The Immigrant / Regia: James Gray / Sceneggiatura: James Gray, Richard Menello / Fotografia: Darius Khondji / Montaggio: John Axeldar / Musica: Chris Spelman / Interpreti: Marion Cotillard, Joaquin Phoenix, Jeremy Renner, Dagmara Dominczyk / Produzione: Keep Your Head, Kingsgate Films, Wild Bunche Worldview Entertainment / Usa, 2013 / Distribuzione: Bim / Durata: 119 minuti
LINK
CULTFRAME. Two Lovers. Un film di James Gray di Eleonora Saracino
Filmografia di James Gray
BIM