Dopo il dittico Smoking/NoSmoking (1993) e Coeurs (2006), l’ultra-novantenne Alain Resnais torna a dirigere al cinema un testo teatrale di Alan Ayckbourn. Questa volta si tratta di Life of Riley, un titolo che non solo si riferisce al personaggio centrale del testo, George Riley, ma che è anche un modo idiomatico per dire “una vita tranquilla”. In francese, il titolo è stato modificato per riprendere quello di una spensierata canzone di Lucien Boyer arrangiata a partire da un walzer di Strauss.
A corto di tempo e di denaro, Resnais allestisce una messa in scena molto stilizzata in cui, come in un certo tipo di teatro, le ambientazioni sono appena suggerite da elementi visivi essenziali. I personaggi si muovono come su un palcoscenico e su sfondi di tende dipinte da cui entrano ed escono di scena. Fortunatamente Resnais non si limita al teatro filmato, tra l’altro con una pièce nella pièce dacché i protagonisti sono impegnati nell’allestimento di Relatively Speaking dello stesso Ayckbourn. Al contrario, il teatro si interseca con elementi visivi di altra natura, in primo luogo le illustrazioni fumettistiche di Blutch, che scandiscono i cambi di scena, e diversi dispositivi formali cinematografici quali i primi piani su sfondi disegnati, con cui il regista filma alcuni monologhi dei protagonisti, o le didascalie che segnano il passare del tempo.
Resnais non firma certo un capolavoro, anzi, sembra proprio andare alla ricerca di artifici che creino un effetto di scarto, come di qualcosa che sia volutamente maldestro. Per esempio, l’ambientazione inglese restituita da un gruppo di attori francesissimi (Sabine Azéma, Hippolyte Girardot, André Dussollier, Caroline Silhol, Michel Vuillermoz, Sandrine Kimberlain, tutti, tranne quest’ultima, dei fedeli del regista) che pronunciano i nomi dei luoghi o dei personaggi (Peggy, Colin, Tilly…) con il loro accento di provenienza dà talvolta alla pièce il sapore grottesco del teatro amatoriale.
Ma considerazioni linguistiche a parte, sarebbe ingiusto non sottolineare il piacere che dà ogni volta rivedere sullo schermo questa deliziosa bande à Resnais, Sabine Azéma in testa. Sarebbe ingiusto non rendere omaggio alla grazia e all’eleganza scanzonata con cui il regista si diverte a parlarci di morte e di bilanci esistenziali facendo sbucare di tanto in tanto, come nell’Inventaire di Jacques Prévert, non un orsetto lavatore bensì una talpa, un elemento incongruo, un po’ divertente e un po’ inquietante.
Come divertente e inquietante è l’assenza di Riley che pur essendo il protagonista della storia e il motore dell’azione, non compare mai fisicamente se non evocato, come un fantasma, come un sogno o un’illusione.
© CultFrame 02/2014
TRAMA
Nelle campagne dello Yorkshire, un gruppo di amici lavora all’allestimento di una commedia. Alla notizia che all’amico George Riley mancano pochi mesi di vita, la compagnia decide di coinvolgere il moribondo nella recita. Questo fatto darà modo a tutti di fare i conti con i loro legami presenti e passati di cui George si rivelerà il nodo principale….
CREDITI
Titolo originale: Aimer, boire et chanter / Regia: Alain Resnais / Sceneggiatura: Laurent Herbiet, Alex Reval, Jean-Marie Besset dalla pièce Life of Riley di Alan Ayckbourn / Fotografia: Dominique Bouilleret / Montaggio: Hervé de Luze / Scenografia: Jacques Saulnier / Musica: Mark Snow/ Interpreti: Sabine Azéma, Hippolyte Girardot, Andrè Dussollier, Caroline Silhol, Michel Vuillermoz, Sandrine Kimberlain / Produzione: / Francia, 2014 / Distribuzione internazionale: Le Pacte / Durata: 108 minuti