Per chiunque si occupi di cinema è ormai un argomento vecchio, già ampiamente sviscerato. Di cosa stiamo parlando? Semplice: dell’espulsione del cinema dai palinsesti dei canali generalisti. Attenzione, però, non siamo dei nostalgici dei film in prima serata o delle rassegne che un tempo si facevano sui canali RAI. Abbiamo ben presente quale sia stata l’evoluzione della televisione negli ultimi trenta anni e non pretendiamo cose ormai impossibili. Durante una recente puntata di Otto e mezzo, Carlo Freccero ha chiaramente evidenziato come il gossip abbia soppiantato la notizia e come gli equilibri dei contenuti televisivi siano ormai frutto di una confusione/mistificazione culturale che è facilmente identificabile in alcune trasmissioni televisive di grande successo.
E il cinema? Il cinema in questa situazione, a parte l’eccezione Fuori Orario, è tristemente relegato alle “ospitate” nei talk di turno. In questi appuntamenti, registi e attori sono chiamati di volta in volta non a parlare di cinema ma a promuovere il film che hanno diretto o a cui hanno partecipato, e che sta per essere distribuito. Noi non abbiamo nulla contro le “marchette” televisive; il film, infatti, è anche un prodotto commerciale e per essere venduto deve necessariamente essere pubblicizzato. Ma detto ciò, non può che generare sconcerto il modo in cui queste “marchette” vengono effettuate. Si, perché anche la pubblicità può e deve avere un suo sostanzioso livello comunicativo, e di conseguenza una sua reale efficacia.
Assistere, come si è potuto fare di recente, alla trasmissione Che tempo che fa, alla presentazione che Carlo Verdone (con Paola Cortellesi) ha fatto del suo nuovo Sotto una nuova stella è stato sotto questo punto di vista emblematico. Un regista e un’attrice costretti semplicemente a raccontare la trama del film e a esibirsi in un “cazzeggio”, per altro poco divertente, davanti a un intervistatore, Fabio Fazio, che ha la capacità di appiattire in modo evidente tutto ciò che sfiora. Ebbene, a chi dice che in fin dei conti si trattava di promuovere in modo diretto un film comico-popolare, fatto per il pubblico di massa, si può ribattere ricordando cosa è successo dopo questa “marchetta” quando si è palesato nello studio televisivo David Lynch.
È stato uno dei momenti più patetici della storia del rapporto tra televisione e cinema degli ultimi tempi. Un importante esponente delle arti visive degli ultimi decenni costretto a destreggiarsi di fronte alle domande imbarazzanti, perché superficiali, dei suoi interlocutori, i quali pensavano di solleticare banalmente l’ego di Lynch tirando fuori dal cappello a cilindro, in modo meccanico, roboanti paragoni con grandi pittori del Novecento come Francis Bacon e Edward Hopper. Assistendo al dialogo mai nato tra Lynch, Fazio e Verdone si provava un forte disagio per il personaggio Lynch, totalmente fuori posto, un vero e proprio alieno che con molta delicatezza d’animo si è dovuto adeguare alla situazione. Proprio Lynch, purtroppo, ne è uscito con le ossa completamente rotte, apparendo nella televisione pubblica italiana in modo non appropriato alla sua statura intellettuale e costretto a limitarsi a fare un disegnino senza senso su un foglietto di carta che, oltretutto, nelle fasi iniziali del suo discorso non era ben visibile allo spettatore. Il tutto, nel disperato tentativo di parlare di meditazione trascendentale in pochi minuti.
A parte le innumerevoli considerazioni che è possibile fare sulla totale inutilità di questa operazione e sulla gigantesca occasione andata perduta, ciò che vogliamo dire è che ogni qual volta importanti artisti e intellettuali appaiono in questi contesti televisivi (abbiamo parlato di Fazio ma potremmo parlare anche della Bignardi o di altri talk più popolari come quelli delle reti Mediaset) ne escono totalmente maciullati, ridotti a mero prodotto di consumo (televisivo) e posti sullo stesso identico piano della cantante uscita da Amici o della ex GF che si è sposata. Sappiamo che Che tempo che fa, volendo apparire come una trasmissione “culturale”, non ospita “tronisti” (contro i quali, per altro, non abbiamo nulla), ma ciò che porta sullo stesso livello un artista come Lynch e un personaggio da reality o da talent è il modo in cui vengono intervistati. Non c’è alcuna differenza.
Lynch si sarà reso conto di ciò? Sarebbe interessante poterglielo domandare.
© CultFrame – Punto di Svista 02/2014
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Che tempo che fa