La poésie n’est pas un problème de représentation. Questa frase del poeta/scrittore/fotografo Denis Roche è tratta da Oeuvres poétiques complètes (La poésie est inadmissible, Seuil, 1998) ed è collocata all’inizio della postfazione (Prose constative) di Luigi Magno che chiude un sintetico volume che si intitola: Saggi di letteratura arrestata (Talete Edizioni, 2011).
L’autore del libro è Denis Roche, appunto, il quale presenta in questa prova alcuni testi concisi, dal sapore fortemente autobiografico/privato e dalla struttura totalmente visuale. Ma ritorniamo alla frase con cui ho aperto il mio post e proviamo a sostituire la parola poesia con fotografia. L’affermazione regge alla perfezione: “la fotografia non è un problema di rappresentazione”. Questa operazione è del tutto pertinente visto che Roche è un autore che lavora in modo proficuo non solo con la parola scritta ma anche con l’immagine fotografica.
Gran parte della sua opera intellettuale e creativa è attraversata da questo dialogo (possibile) tra due forme d’arte che molti hanno provato a coniugare, spesso in modo troppo meccanico e artificiale. L’aspetto fondamentale è che nell’universo di Roche la scrittura ha una forte componente fotografica così come la fotografia ha chiari aspetti letterari. Ciò che lega queste due discipline, dunque, non ha a che fare con questioni di linguaggio (e di segni) quanto piuttosto con un’identica forma di riflessione sul mondo rintracciabile, per quel che riguarda Roche, in entrambi i territori espressivi. L’aspetto autobiografico degli scritti di Roche è presente in modo preciso nelle sue fotografie, sempre caratterizzate da un’evidente sensibilità espressiva e da ciò che possiamo definire il sentimento della percezione. Il lavoro fotografico di Denis Roche è legato alla sfera del suo mondo privato ma attraverso le sue immagini (così come attraverso i suoi testi letterari) ci comunica, in verità, contenuti, non solo condivisibili umanamente e individualmente ma anche collettivamente. Le fotografie di Roche divengono nella fruizione patrimonio universale di sentimenti e sensazioni che uniscono tutti gli esseri umani, nonostante questi scatti ci parlino della sua esistenza privata, dei suoi rapporti affettivi, delle piccole storie della sua quotidianità.
In tal senso, pur con differenze notevoli (anche di stile), questa impostazione mi fa tornare in mente quella di un grande cineasta/fotografo israeliano: David Perlov. Quest’ultimo percorreva il sottile confine tra cinema documentario e fotografia (dunque non quello tra letteratura e fotografia, come Roche) cercando di mettere a fuoco, grazie alle vicende della sua famiglia e a incontri occasionali che faceva a Tel Aviv, a Parigi e in giro per il mondo, il percorso di un popolo e di un paese (ma non solo). Anche Perlov, in sostanza, partendo da un punto di vista individuale, e attraverso il sentimento della percezione, finiva per raccontare un’esperienza collettiva. Così, posso concludere dicendo che l’affermazione “la fotografia non è un problema di rappresentazione” è valida per tutti e due gli artisti, i quali pur portando avanti discorsi espressivi apparentemente lontani non hanno fatto altro che usare l’infinitamente piccolo, per rivelarci il mondo senza rappresentarlo ma semplicemente guardandolo.
© CultFrame – Punto di Svista 04/2014
(pubblicato su L’Huffington Post Italia)
SUL WEB
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