È la terza mostra personale che vedo dell’artista brasiliano Vik Muniz, ma quella ospitata presso il Tel Aviv Museum of Art è la prima grande retrospettiva (Pictures of Anything) che riesce a mettere a fuoco con precisione e ampiezza espositiva la storia di un autore (venticinque anni di attività) che da sempre ha saputo indirizzare la sua arte in un territorio allo stesso tempo di tipo intellettuale, sociale e popolare.
Se si passeggia per le ampie e moderne sale del grande museo israeliano si può cogliere l’evoluzione di un “ricostruttore di immagini” che continua a lavorare sul concetto complesso di riproduzione della realtà, ma anche di altre opere d’arte (fotografie comprese). La fotografia ha nel suo processo creativo un ruolo fondamentale di sintesi, documentazione e “determinazione” di un’opera materica che dopo lo scatto diventa pura opera visuale, e dunque può essere fruita in modo capillare.
Per far ciò il fotografo nativo di San Paolo del Brasile utilizza i materiali più svariati, tutti riciclati e usati, oppure di uso comune: dalla spazzatura ai materiali ferrosi e plastici, dalla cioccolata ai ritagli di giornali e libri, fino all’inchiostro, allo zucchero e alla polvere. Ricostruisce, rievoca, ridisegna e poi fotografa inserendo le sue opere in un procedimento lucido e razionale di tipo seriale.
Ecco dunque i capolavori che emergono nella serie Pictures of Garbage (2008-2011), in cui utilizzando vera e propria spazzatura ha elaborato toccanti ritratti di lavoratori di Rio de Janeiro che impegnano la loro durissima esistenza selezionando e riciclando rifiuti di ogni genere. Questo significativo progetto artistico, dalle forti componenti sociali e umane, ha inoltre fatto scaturire un documentario intitolato Waste Land, diretto da Lucy Walker (2010), nel quale è possibile comprendere come Muniz grazie alla compartecipazione creativa dei “soggetti delle sue opere” (i quali insieme a Muniz elaborano con l’immondizia i loro stessi ritratti per farli poi fotografare dall’autore brasiliano), non ha effettuato semplicemente un’operazione di denuncia ma ha cercato attraverso la condivisione creativa di rispettare la dignità degli individui che interpellava, fornendo loro anche una possibilità di riscatto sociale.
Tra le serie più interessanti vi segnalo anche: Pictures of Magazines 2 (2011 – 2013), nella quale tramite ritagli di giornali e libri Muniz riesce a far rinascere grandi dipinti (di Pierre-Auguste Renoir, ad esempio), e Pictures of Dust (2000), in cui il materiale usato da “rifotografare” è semplicemente la polvere. Ma il legame profondo con la fotografia non è sancito solo dall’uso “conclusivo/sintetico” dello scatto relativo alla “conservazione” dell’opera materica, ma anche da riferimenti diretti a immagini che hanno fatto la storia della fotografia come Dallas Mill, Huntsville di Lewis Hine (1910) e Migrant Mother di Dorothea Lange, la prima riprodotta tramite l’uso di pezzi di carta di varia misura, la seconda rielaborata grazie all’inchiostro.
© CultFrame – Punto di Svista 07/2014
(pubblicato su L’Huffington Post Italia)
INFORMAZIONI
Pictures of Anything. Retrospettiva di Vik Muniz
Tel AViv Museum of Art / 27 Shaul Hamelech Blvd, Tel Aviv, Israel
Fino al 2 agosto 2014
SUL WEB
Il Museo d’Arte di Tel Aviv