Spazio claustrofobico e metaforico: una villa. Quattro personaggi imprigionati in una realtà anacronistica: tre sorelle e una nipote. Una realtà esterna quasi sempre invisibile ed estranea: la città di Ramallah in Cisgiordania.
Questi sono gli elementi fondamentali di Villa Touma, lungometraggio di esordio della sceneggiatrice (La sposa siriana e Il giardino dei limoni, di Eran Riklis) Suha Arraf.
Ai fattori sopra indicati bisogna aggiungere: l’ossessione nei riguardi di una vita aristocratica che non può esistere più, un senso parossistico dell’onore familiare e una dimensione di possesso delle vite altrui che al giorno d’oggi appare semplicemente ridicola.
Suha Arraf colloca i quattro personaggi del suo film all’interno di un universo chiuso e vagamente morboso, una villa di Ramallah (ma in verità la bella casa si trova ad Haifa, città israeliana) che sembra essere più un luogo di separazione, di esplosione dell’angoscia, che un microcosmo dove si evolvono esistenze e sentimenti. La regista fa interagire le quattro donne edificando un sistema di sguardi, silenzi e dialoghi secchi che collocano il clima espressivo del film su un piano non naturalistico ricco di tensione. A ciò si aggiunge una regia basata in primo luogo su un’impostazione fotografica molto precisa (Yaron Scharf è il direttore della fotografia) e in secondo luogo su una cura maniacale del dettaglio: oggetti, mobili, lampade, vestiti, acconciature sembrano provenire da passato fastoso ormai decadente.
Gli ingredienti per far sì che Villa Touma possa essere considerata un’ottima prova registica e di recitazione ci sono tutti, dunque. Eppure, questo lungometraggio a un’analisi attenta non convince, anzi rivela tutte le sue problematiche.
Si tratta di un’opera molto (troppo) ambiziosa sotto il profilo formale, ma tutto si riduce a una sterile ricerca di un’inutile perfezione e a una fotografia “leccata” che inquadratura dopo inquadratura finisce per perdere la sua forza. Tutto appare estremamente rigido e studiato. Tale scelta non fa che bloccare la possibile evoluzione del film che alla fine si manifesta semplicemente come un medio prodotto che non va oltre la sua pur gradevole forma. Suha Arraf, evidentemente, non possiede ancora il talento necessario per creare un’opera nella quale non si confonda un’infeconda abilità realizzativa con la capacità di esprimersi in modo accurato e poetico.
Villa Touma è, in sostanza, solo un buon prodotto professionale che ambisce a essere una piccola opera d’arte ma che naufraga nell’ossessione del dettaglio e della bella inquadratura estetizzante.
Il film è stato realizzato grazie al contributo dell’Israel Film Fund e del Ministero dell’Economia (cioè con soldi pubblici israeliani) e della Lotteria Nazionale di Israele. È, dunque, un’opera che rappresenta un bell’esempio di collaborazione (e anche di sostegno alla cultura araba-israeliana/palestinese) e di vicinanza tra i popoli che compongono lo Stato di Israele. Peccato per le polemiche scatenate dalla ferma volontà della cineasta di classificare il suo film solo ed esclusivamente di nazionalità palestinese, polemiche che hanno preceduto la sua presentazione alla Settimana Internazionale della Critica a Venezia. Non sarebbe stato bello e profondamente educativo presentare il film indicando la nazionalità: Israele-Palestina? Non sarebbe stato un segnale da dare al mondo intero?
© CultFrame 08/2014
TRAMA
Tre sorelle appartenenti all’aristocrazia palestinese-cristiana di Ramallah vivono praticamente rinchiuse nella loro bella villa. La vita scorre sempre uguale: bei vestiti, cene silenziose, un po’ di televisione. Un giorno, a sconvolgere la vita delle tre donne, arriverà una nipote che aveva sempre vissuto in collegio dopo la morte del padre. La ragazza viene affidata alle tre sorelle che cercheranno di inculcare alla giovane un sistema di vita ultra aristocratico e riservatissimo. I risultati, però, non saranno positivi.
CREDITI
Titolo: Villa Touma / Regia: Suha Arraf / Sceneggiatura: Suha Arraf / Fotografia: Yaron Scharf / Montaggio: Arik Lahav-Leibovich / Musica: Boaz Schory / Scenografia: Eytan Levi / Interpreti: Ula Tabari, Nisreen Faour, Cherien Dabis, Maria Zreik, Nicholas Jacob, Hussein Mahajni / Produzione: Bailasan / Durata: 85 minuti
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Filmografia di Suha Arraf
Settimana Internazionale della critica (SIC) – Il sito
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – Il sito