Sono varie le considerazioni cui sottoporre il lavoro di Giulio Marzaioli dal titolo Arco rovescio: potrebbe essere interessante trovare una correlazione di base all’interno del dialogo trasversale tra i testi e le immagini fotografiche pubblicate nel libro. La necessità di approfondimento proviene dal rumore di fondo che soggiace nello sfogliare le pagine, dove da una presupposta intenzione come si legge nella dedica “a L., doveva essere un libro di fiabe” diviene anche altro.
Pur mantenendo una sorta di altalenante litania iniziale, le dinamiche testuali si snodano insieme alle immagini fino a divenire, nella forma del sottrarre, una dimensione incompleta, lacunosa, per poi riapparire con una consistenza legata agli eventi negli ultimi segmenti fintanto, nell’ultima pagina, a scomparire definitivamente. Queste menomazioni, carenze, fanno sì che si evidenzi la struttura portante che le sostiene e in effetti è ragionando su ciò che manca che se ne palesa una presenza.
Anche le immagini fotografiche concorrono al fondamento dell’impianto, certo non sotto l’egida della comparazione, dell’accostamento, piuttosto ad un comune esercizio sui materiali dei linguaggi in essere, scrittura e fotografia. Mentre, alla fine del libro, come esempi pratici a sostenere una propositività opposta, un’illustrazione e una nota dell’autore si caratterizzano per le loro qualità di vademecum informativi: un disegno architettonico descrittivo delle parti sostanziali di una galleria e un elenco di parole che vanno interpretate nel senso con cui l’autore ce le descrive.
Se questo processo nella parte testuale iniziale tende a sommare pagina dopo pagina le azioni all’interno di un racconto e, arrivato a un certo punto, ne comincia a sottrarre sempre più un senso univoco, al contrario le immagini fotografiche, inizialmente prive di riferimenti iconografici, procedono sul senso dell’oggetto in questione, verso la direzione della riconoscibilità.
Non solo: delle note testuali poste al margine inferiore di ogni pagina si attivano per ulteriori possibili sguardi con cui attraversare la scrittura sopra stante. Questo fluttuare del senso in una continua ridefinizione dei gesti e delle azioni, inizialmente attiva una perdita costante di punti di riferimento; contemporaneamente si attiva dall’energia dell’assenza la struttura portante (l’arco rovescio) che sostiene, apparentemente invisibile, l’impianto del testo e delle immagini e cioè il materiale dei linguaggi. Il materiale, i materiali dei linguaggi sono i nostri concetti di realtà, in definitiva altro non sono che modelli di rappresentazione.
Quando poniamo degli interrogativi sulla realtà abbiamo, in una incerta misura, delle risposte da schemi e modelli rappresentativi e non dalla realtà in sé: la sfera evolutiva della comprensione e dell’adattamento avviene tramite la modifica e l’aggiornamento dei nostri modelli di rappresentazione. Possiamo sicuramente realizzare modelli molto complessi e raffinati ma l’indeterminato è possibile in qualsiasi momento, non ha nessuna fisionomia data e può assumere diversi indizi di senso. Gli eventi accadono per il relazionarsi delle cose tra di loro, noi compresi, e questo avviene con o senza la nostra cognizione e approvazione.
In sostanza ecco cosa emerge dal lavoro sui linguaggi in Arco Rovescio, con e sulla scrittura e altrettanto con e sulla fotografia: sono tentativi di modifica e di aggiornamento dei modelli di rappresentazione su cui poggiano i nostri concetti di realtà. Questa frase di Laurent Montaron da Nature of the self (2014), descrive in maniera esauriente affrontando l’argomento in piena assunzione di consapevolezza: “Il confine del mio linguaggio è il confine del mio mondo”.
© CultFrame – Punto di Svista 09/2014
CREDITI
Titolo: Arco Rovescio / Autore: Giulio Marzaioli / Editore Tielleci Editrice, Colorno (PR), 2014 / Collana: Scrittura e ricerca Benway Series (quinto testo) / Lingue: Italiano, Inglese / Traduzione: Sean Mark / Pagine: 96 / € 10,00
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