Alla Photographers’ Gallery di Londra è allestita un’interessante panoramica sulll’uso del colore nella fotografia russa tra il 1860 e il 1970. Primrose: early colour photography in Russia spazia dalle cartoline acquarellate dell’impero zarista alle diapositive sovversive dei primi anni Ottanta, passando per la rivoluzione del 1917, i collage del costruttivismo sovietico e il disgelo della censura stalinista,
I primi esperimenti con il colore si realizzano mediante pennellate ad acquerello, tempera, olio, o tinture all’anilina, eseguite pazientemente a mano. Al di là dei motivi estetici, la colorazione mira a celare le imperfezioni della stampa, oppure rimediare al deteriorarsi della carta. Si tratta di ritratti di famiglia, immagini raffinate prodotte negli studi fotografici di Nechayev, Ushakov e Eriks e Eikhenvald. Oppure di vedute architettoniche, spesso chiese ortodosse, colorate negli studi allestiti nei monasteri della Trinità e di San Sergio. La tecnica del colore via via si affina e perfeziona, e i fotografi ricorrono all’autocromia, all’isocromia e al collotipo, fino alla tripla esposizione di Prokudin-Gorskij, rappresentato qui con il suo famoso ritratto di Lev Tolstoij.
Un tema di successo, oltre ai ritratti, è quello dei panorami. A volte, la policromia e l’elemento pittorico sembrano prendere il sopravvento, mentre foto di ponti e architetture industriali piacciono alla borghesia, che ama decorare con queste vedute, sovente imprezosite da inserti di madreperla, le pareti delle proprie case. Un altro motivo largamente sfruttato è quello dei costumi nazionali, data la vastità dell’impero russo e la varietà di popolazioni e culture. Gli elementi di folklore risaltano grazie allo stupefacente uso del colore e le foto assumono valenza educativa, oltre che esotica. Largamente popolari erano anche i ritratti a colori degli ufficiali dell’impero,una classe sociale importante, prima della Guerra mondiale e della rivoluzione che spazzerà via il sistema.
L’inizio della prima guerra mondiale nel 1914 e la Rivoluzione d’Ottobre del 1917 annientarono il mondo raccontato nella prima parte dell’esposizione londinese. Vladimir Lenin e il nuovo governo sovietico supportarono attivamente la fotografia come mezzo di propaganda, in un paese dove la maggior parte della popolazione non era in grado di leggere o scrivere. È in questo clima che prende piede il fotomontaggio, una tecnica che permette di unire veridicità e propaganda, ideologia e utopia. Negli anni ‘20 la pratica è comune ai maggiori artisti modernisti come El Lissitzky o Rodchenko, che non disdegna di riesumare anche la vecchia tecnica di colorazione a mano. Negli anni ’30 furono codificate le norme del realismo socialista. L’arte, in tutte le sue forme, inclusa la fotografia, non doveva rappresentare la realtà, ma riflettere miti sovietici. Questo significò la persecuzione di artisti non conformi alle nuove direttive, e l’abbandono di temi romantici come paesaggi e rovine. Alcuni, come Vasily Ulitin, riuscirono faticosamente a sopravvivere, rappresentando in stile pittorico temi rivoluzionari cari ai bolscevichi.
L’avvento della Seconda Guerra Mondiale ritardò l’arrivo della fotografia a colori sul mercato russo. Si trattava perlopiù di pellicole di fabbricazione tedesca ed Americana, notevolmente costose e di difficile reperimento. Fino agli anni ’70 furono appannaggio di fotografi privilegiati, che avevano la possibilità di lavorare per importanti pubblicazioni. Anche in questo caso, il reportage era sottomesso ai rigidi canoni del realismo socialista, e persino le composizioni di frutta di Ivan Shagin, eseguite nel 1949, dovevano trasmettere un messaggio ideologico. Successivamente, il realismo socialista si va stemperando e l’introduzione della pellicola per diapositive a colori, che viene ampiamente utilizzata da dilettanti, permette l’emergenza di una forma d’arte non ufficiale, concettuale. Il sistema sovietico aveva spento ogni senso di individualità, a favore della comunità collettiva. Le diapositive erano un efficace mezzo sovversivo, potevano essere proiettate in segreto, fatte circolare in appartamenti, cantine, retrobottega. Negli anni ‘70 Boris Mikhailov sconvolge le norme della fotografia, e ritraendo la corporeità e la sessualità, rivendica il diritto all’individualità e all’indipendenza negati dal sistema, nonché l’uso di gamme cromatiche diverse dal rosso di partito.
La mostra londinese è stata curata da Olga Sviblova, direttrice del Museo della Arti Multimediali di Mosca.
© CultFrame 09/2014
INFORMAZIONI
Primrose: early colour photography in Russia / A cura di Olga Sviblova
Dall’1 agosto al 19 ottobre 2014
The Photographers Gallery / 16-18 Ramillies Street, Londra / Telefono: +44(0)20.7087 9300
Orario: lunedì – sabato 10.00 – 1800 / giovedì 10.00 – 20.00 / domenica dalle 11.30 – 18.00 / Ingresso libero
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The Photographers’ Gallery, Londra