Una stanza senza muri, né soffitto. Aperta all’aria, affacciata sui tetti e sul Malecòn, il lungomare dell’Avana. Questa è una “azotèa”, uno spazio ricavato dalle grandi terrazze condominiali dei palazzi cubani, addossati gli uni agli altri, ed è qui che Cantet ambienta il dramma umano, sociale ma, soprattutto, emotivo del suo film. Partendo dal personaggio del romanzo di Leonardo Padura, Le Palmiere et L’étoile, il regista estrapola un nucleo narrativo che, pur trovando corrispondenza con il carattere di quello della pagina scritta, intraprende tuttavia un proprio percorso, coerente con lo spirito del romanziere, sì, ma anche con lo sguardo curioso e, in senso più ampio, antropologico di Cantet.
Acuto osservatore del (mal)essere sociale torna, dopo aver girato un episodio nel film collettivo 7 giorni all’Avana, sull’isola caraibica senza tuttavia mostrarla, o almeno non nell’accezione panoramica, ma concentrandosi nel cuore pulsante della capitale, tra i rumori e i fragori della città, il profilo delle abitazioni, la vita che pullula tra i vicoli e i balconi sospesi sul cemento e sulle antenne. Alla sommità di questi edifici, Cantet riunisce cinque amici di vecchia data in occasione del ritorno a casa di uno di loro. Il sole fa, allora, il suo giro. Accecante li sorprende nel ballo, tiepido li coglie nel momento del rimpianto, per lasciare poi il posto ad una notte fatta di rivelazioni.
In un’intera giornata il regista francese costringe i suoi protagonisti a guardarsi, nel presente, alla luce – impietosa – del passato. “Il tempo è implacabile” dice, infatti, uno di loro ed è questo tempo che li ha portati fin lì, su quel terrazzo urbano a guardare, forse dalla prima volta – dall’alto e da una prospettiva inedita – se stessi e gli altri. Insieme tracciano la linea frastagliata della storia dell’isola e ciascuno a suo modo ne “interpreta” un personaggio.
Ritorno a l’Avana potrebbe essere definito un dramma a “camera aperta” considerando la peculiarità dello spazio che gli attori occupano. Pur en plein air, infatti, essi si muovono in un confine delineato come a ripercorrere, anche qui e ora, un copione del passato. I ricordi della giovinezza, la scuola campestre e le sue regole, il “periodo speciale” (decretato da Castro dal 1992) e le sue privazioni, le decisioni estreme, come quella di Amadeo partito per la Spagna, o di Tania che ha visto andar via i suoi figli…
Tutto è raccontato, parlato, sussurrato e urlato perché la parola – intesa anche come scrigno di memoria storica- è tutto. La macchina da presa di Cantet si muove tra i protagonisti come un sesto elemento: li osserva da vicino, li riprende di spalle, si siede accanto a loro e si sporge dal terrazzo per vedere oltre. È uno sguardo che si conficca dentro il dialogo che sgorga come fiume in piena e travolge il passato e il presente. Amadeo, Tania, Rafa, Aldo ed Eddy si affrontano, si scontrano, si commuovono e si sfidano rivelandosi, man mano, in ogni frase. Cantet non li giudica ma lascia che esprimano la propria anima che è anche quella di un paese, di un popolo, di una porzione di Storia contemporanea. L’incontro dei cinque ha il sapore della nostalgia ma anche della rabbia della resa dei conti che si esprime in livori e rancori e, come in ultimo duello, si sparano colpi per centrare e ferire come atto (dovuto) ed estremo ad una verità che finirà per svelarsi con un impeto che sa di irreparabile.
Il regista de La classe che ha fatto del rigore uno dei tratti distintivi del suo cinema sembra qui perdere di incisività in una narrazione-conversazione di figli del popolo che (si) raccontano il passato ma si confrontano un po’ meno con il futuro; tuttavia la coralità della messa in scena e l’intensità di cui danno prova gli attori (si consiglia, pertanto, la versione in lingua originale non edulcorata dal doppiaggio) valgono la visione e, soprattutto, l’ascolto perché, per dirla con Saramago, “Se non pronunceremo tutte le parole, anche assurdamente, non diremo mai quelle necessarie”.
© CultFrame 10/2014
TRAMA
In una terrazza che domina i tetti dell’Avana si ritrovano, dopo tanto tempo, cinque amici per festeggiare il ritorno a casa di uno di loro che da 16 anni vive in Spagna. Dal tramonto all’alba il gruppo si abbandona ai ricordi, rievocando un passato che è anche la storia del paese stesso. L’incontro tra loro sarà anche l’occasione per portare a galla rancori mai sopiti e svelare verità nascoste.
CREDITI
Titolo: Ritorno a l’Avana / Titolo originale: Retour à Ithaque / Regia: Laurent Cantet / Sceneggiatura: Leonardo Padura Fuentes, Laurent Cantet / fotografia: Diego Dussuel / Montaggio: Robin Campillo / Interpreti: Isabel Santos, Jorge Perugorría, Fernando Hechevarria, Néstor Jiménez,Pedro Julio Díaz Ferran / Produzione: Full House / Francia, 2014 / Distribuzione: Lucky Red / Durata: 95minuti
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CULTFRAME. Verso il Sud. Un film di Laurent Cantet di Maurizio G. De Bonis
Filmografia di Lauret Cantet
Lucky Red