Togliatti(grad). Un film di Federico Schiavi e Gian Piero Palombini. 32° Torino Film Festival. Festa mobile

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Claudio Panella

Quando nei primi anni Settanta Primo Levi visitò la gigantesca Togliattigrad rimase così colpito dall’entusiasmo degli operai specializzati italiani che vi lavoravano e con i quali conversò ripetutamente da ispirarsi ai loro racconti per il personaggio di Tino Faussone, il protagonista del suo romanzo La chiave a stella, Premio Strega 1979, erede esemplare di una genia di piemontesi devoti al culto del lavoro ben fatto. Il film di Federico Schiavi e Gian Paolo Palombini, che ha opportunamente avuto la sua prima al 32° Torino Film Festival, alterna materiali di repertorio custoditi nelle Teche Rai, presso l’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa d’Ivrea oltre che in Russia a numerose interviste per raccontare un’impresa industriale dai caratteri inediti e oggi forse poco noti ai più giovani: la costruzione nell’allora Unione Sovietica della più grande fabbrica automobilistica d’Europa targata AutoVAZ, cui la Fiat sovrintese tra il 1966 e il 1970.

Inoltre, intorno alla fabbrica nacque anche un’intera nuova città per i lavoratori dell’immenso stabilimento, l’una e l’altra realizzate in meno di trentasei mesi nella regione di Kuibyshev (oggi detta Samara) vicino alle rive del Volga e ai monti Zigulì, e poi intitolate al leader del Partito Comunista Italiano che era morto in Crimea nel 1964. Peraltro, tutti gli intervistati del film chiamano la città-fabbrica semplicemente “Togliatti”, con il nome che evidentemente usavano già allora e che in effetti ha oggi, sancito da un referendum seguito al crollo dell’Urss (da cui le parentesi nel titolo) mentre molte altre città russe scelsero modifiche più radicali rispetto al proprio passato sovietico.

La scelta toponomastica degli anni Sessanta fu recepita con qualche malumore da parte della Fiat, che però non ebbe voce in capitolo. Basti riascoltare nell’incipit del documentario le parole pronunciate a questo proposito dallo stesso Gianni Agnelli durante una tribuna politica televisiva. D’altronde, l’accordo da cui nacque Togliattigrad rappresentava un’operazione ardita e, come si diceva, inedita sia per la più grande industria automobilistica italiana sia per lo stato sovietico, entrambi preoccupati tanto del risultato economico dell’impresa quanto di usarla per celebrare i propri traguardi tecnici e i rispettivi modelli di sviluppo; due modelli che in partenza erano però ben diversi l’uno dall’altro in quegli anni di piena guerra fredda in cui l’azienda torinese rappresentava il neocapitalismo occidentale, ma che per certi aspetti seppero invece incontrarsi.

Da un lato, infatti, investendo nella produzione di automobili destinate ai cittadini russi l’Urss apriva in piccola ma significativa parte a un modello consumistico il cui rifiuto aveva portato la sua economia a una stagnazione eccessiva per i propri ambiziosi piani industriali. Dall’altro, dopo lo sfumare di un accordo con la Ford, che non si concluse anche per le posizioni ideologiche troppo distanti tra Urss e Usa, e dopo avere superato la concorrenza della francese Renault grazie all’opera di mediazione dell’imprenditore Piero Savoretti, la Fiat di Valletta si aggiudicò l’incarico di costruire Togliattigrad proprio in virtù di un’organizzazione gerarchica che la caratterizzava in quegli anni e che, dalle scuole Allievi Fiat alla formazione dei dirigenti ai servizi sociali padronali, era più rispondente di altre ai canoni sovietici.

Anzi, più d’uno tra i russi intervistati nel documentario ricorda che la deferenza con cui gli operai italiani si rivolgevano ai propri superiori appariva loro eccessiva e incomprensibile. E questo è soltanto uno dei paradossi di una vicenda che fu occasione d’incontro tra due popoli e due culture che in fondo sapevano molto poco l’una dell’altra: dal canto loro, come si racconta nel film, i lavoratori italiani scoprirono con sorpresa che nelle fabbriche dell’Unione Sovietica socialista lo sciopero era vietato dalla costituzione e inconcepibile, nonostante le condizioni estreme in cui Togliattigrad venne costruita nel gelo della steppa con l’aiuto di donne, studenti e soldati ad aggiungersi agli operai per riuscire a rispettare i tempi previsti. Difatti, quando molti russi sbarcarono a Torino per addestrarsi al loro nuovo lavoro in fabbrica si ritrovano a essere tra i pochi “crumiri” che varcavano quotidianamente i cancelli nelle fasi più calde delle contestazioni operaie del 1968-1969.

Italiani e russi non si potevano insomma riconoscere facilmente l’un l’altro sul piano politico, e non soltanto perché la Fiat selezionò accuratamente gli operai e i tecnici da inviare in Urss, ma li unì comunque una certa forma di orgoglio operaio per il lavoro titanico che l’edificazione di Togliattigrad richiedeva, e di cui Primo Levi (purtroppo non citato nel documentario) si fece poi narratore. Oltre a ciò, nel film si sottolinea come l’età media delle migliaia di lavoratori della città-fabbrica fosse inferiore ai venticinque anni e come questi entrarono in relazione soprattutto grazie alle canzoni di Adriano Celentano, alla comune conoscenza di Sofia Loren e Marcello Mastroianni, che favorirono moltissime storie d’amore e numerosi matrimoni, osteggiati dalle autorità sovietiche che avevano inviato nella città-fabbrica la loro migliore gioventù e non volevano lasciarla partire per l’Occidente.

Accanto alle interviste e ai materiali d’archivio utilizzati in modo forse meno ficcante (più nostalgico) de La zuppa del demonio di Davide Ferrario, Schiavi e Palombini hanno affidato una parte importante del messaggio del loro film alle belle riprese girate nella fabbrica di Togliatti tuttora in attività e nella Russia di oggi, in cui alle moltitudini di operai seguono quelle dei fedeli ortodossi a evocare il nuovo spirito della nazione dopo il crollo dell’Urss. Nella parte conclusiva del documentario i due autori rappresentano così i rivolgimenti del mondo industriale e operaio italiano caratterizzando gli ultimi minuti della loro opera, la rievocazione dei licenziamenti e degli scioperi degli anni Settanta e la marcia dei così detti Quarantamila, con una forma via via più malinconica culminante nella scelta musicale di Vincenzina e la fabbrica di Jannacci durante la sequenza finale che mostra una serie di stabilimenti torinesi da tempo dismessi e abbandonati, rovine di un mondo industriale che si è oramai trasferito altrove… e anche ben più a Est della Russia.

Del film è stata realizzata pure una versione televisiva della durata di 56 minuti.

© CultFrame 11/2014

TRAMA
Nel maggio 1966, poco prima che Vittorio Valletta lasciasse a Gianni Agnelli la presidenza della Fiat, l’azienda automobilistica torinese firmò un accordo con il governo sovietico per la costruzione, entro tre anni, di un nuovo stabilimento industriale in grado di produrre quotidiniamente circa duemila vetture analoghe alla 124: il 19 aprile 1970, la prima macchina uscì dalle officine di quella che venne nominata Togliattigrad, tuttora in attività (con la comproprietà di Renault-Nissan).

CREDITI
Titolo: Togliatti(grad) / Regia: Federico Schiavi e Gian Piero Palombini / Sceneggiatura: Federico Schiavi e Gian Piero Palombini / Fotografia: Marco Pasquini / Montaggio: Federico Schiavi / Produzione: Nacne Sas, Rai Cinema in collaborazione con Teche Rai e Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa / Italia, 2014 / Distribuzione: Rai Cinema / Durata: 96 minuti

SUL WEB
Filmografia di Federico Schiavi

Filmografia di Gian Piero Palombini
Torino Film Festival – Il sito
 
Rai Cinema

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Claudio Panella

Claudio Panella, Dottore di ricerca in Letterature e Culture Comparate, si interessa in modo particolare alle interazioni tra la letteratura e le arti, alle trasfigurazioni letterarie del paesaggio e della città, alle rappresentazioni del lavoro industriale e post-industriale nella letteratura italiana ed europea. Attualmente è redattore di Punto di Svista - Arti Visive in Italia e CultFrame - Arti Visive.

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