Jimmy’s Hall – Una storia d’amore e libertà. Un film di Ken Loach

SCRITTO DA
Eleonora Saracino

Stesso luogo – l’Irlanda – dieci anni dopo: gli anni Trenta. Ken Loach torna a girare sulla verde isola dopo Il vento che accarezza l’erba (Palma d’Oro a Cannes nel 2006) per raccontare un’altra storia di indipendenza e di libertà. Sono passati gli anni e quel veemente canto di rivolta si fa qui una più armoniosa ballata di ribellione.

Il destino di Jimmy Gralton, misconosciuto ai più e la cui vicenda è stata addirittura cancellata dagli archivi del suo paese, non poteva non appassionare il regista inglese che, mescolando gli eventi reali – ricostruiti, insieme allo sceneggiatore Paul Laverty, attraverso gli scarsi documenti e le testimonianze dei familiari di Gralton – con elementi di finzione, ha tracciato la parabola dell’esistenza di un uomo che ha combattuto per l’autonomia non soltanto di un paese ma, soprattutto, del pensiero e dell’azione, andando ben oltre i confini ideologici della politica. Tornato in patria nel 1933, al termine di un lungo, forzato, esilio negli Stati Uniti, Jimmy (interpretato dall’ottimo Barry Ward) ritrova una comunità stremata dal decennio di piena depressione dopo la crisi del ’29 e ancora lacerato dalle lotte interne. Nella contea di Leitrim i lavoratori sono sotto il giogo vessatorio dei proprietari terrieri il cui spirito retrogrado e tirannico viene avallato da una Chiesa Cattolica ultraconservatrice. La vecchia sala da ballo non è che un edificio fatiscente e l’eco della musica sembra essersi spento nella sommessa litania dei sermoni di padre Sheridan.

Jimmy ha nella valigia storie di un mondo lontano e vagheggiato, un grammofono e i dischi di una musica “nuova” con la quale ballare il lindy hop, il cui volteggiante ancheggiamento si contrappone ai duri colpi di tacco delle danze tradizionali irlandesi. In questo ballo “scandaloso” Gralton esprime tutta la modernità e il senso eversivo di un pensiero che non si lascia imbrigliare né dal potere profano dei padroni, né da quello “sacro” dei preti. Riaprire la sala si fa allora un atto di protesta per reagire allo sconfortante stallo provocato da ogni crisi non solo con le note ma con la poesia, la letteratura, l’arte, lo sport… Jimmy vede nella cultura e nel movimento, della mente e del corpo, l’unica via per riappropriarsi di una speranza e la sua passione politica passa, soprattutto, attraverso la strenua volontà di affrancarsi dal cappio antiprogressista e retrogrado di un sistema sociale e religioso che rifiuta ogni forma di evoluzione bollandola come eversione.

Loach muove da una storia vera per entrare, tuttavia, dentro l’anima del suo protagonista, coglierne lo slancio ma anche lo scoramento, vederlo fomentare e sostenere la ribellione dei concittadini ma anche arrendersi di fronte all’impossibilità di riavere il suo antico amore. Nella bellissima sequenza del ballo con Oonagh, infatti, il regista di Nuneaton racchiude tutto il senso del film: l’impeto della lotta, la forza con la quale abbracciarla, la promessa di non abbandonarla e il coraggio di lasciarla (anche) agli altri.

Coerente con il suo percorso, artistico e politico, il settantottenne Ken non ha certo ammorbidito il suo piglio ma con questo film sembra aver trovato una nuova poesia nella rivoluzione. Jimmy, esiliato, condannato senza processo e costretto ad abbandonare l’Irlanda, è un ribelle senza tempo, supera la sua epoca e la sua battaglia per collocarsi nell’ideale pinacoteca di quella moltitudine di uomini “semplici” che hanno contribuito al cammino della Storia senza che essa si sia voltata a guardarli.

Allo sguardo fremente dei suoi film politicamente più duri Loach ha sostituito un occhio non meno vibrante ma puntato sulla forza coesiva della solidarietà che non si fa, tuttavia, escamotage consolatorio del dramma umano quanto primigenia e pratica possibilità di contrastare il sopruso. Al rigore registico si contrappone, nella narrazione, una più leggiadra simmetria del sentimento che raccorda la denuncia sociale con lo slancio emotivo facendo di Jimmy’s Hall un canto (e un ballo) corale che celebra la più autentica libertà e il cui protagonista, come il sognatore di Dostoevskij, è superiore ai suoi stessi desideri secondo una “nuova volontà” che trascende epoche e lotte pur appartenendo a tutte.

© CultFrame 12/2014

 

TRAMA
Contea di Leitrim. Irlanda, 1932. Jimmy Gralton torna a casa dopo un forzato esilio in America per occuparsi della fattoria di famiglia e dell’anziana madre. Ha il carattere appassionato e coinvolgente del leader e, accanto ad un nutrito gruppo di concittadini, tenta di combattere la mentalità retriva e l’ingiustizia. In una comunità depressa dalla crisi e da poco uscita dalla Grande Guerra, Gralton riapre la vecchia sala da ballo dove si insegna anche a disegnare, tirare di box, si leggono poesie e brani dei classici della letteratura. Tutto ciò ha, però, il sapore di un atto sovversivo e padre Sheridan, insieme ai potenti proprietari terrieri della contea, tenta in ogni modo di contrastare il progetto di Jimmy. Il semplice atto di ballare diviene così una vera e propria azione eversiva che l’uomo pagherà, ancora, una volta sulla sua pelle e l’anno dopo, senza processo, sarà esiliato dal suo paese senza avere mai più la possibilità di ritornarvi.

CREDITI
Titolo: Jimmy’s Hall – Una storia d’amore e libertà / Titolo originale: Jimmy’s Hall / Regia: Ken Loach / Sceneggiatura: Paul Laverty / Fotografia: Robbie Ryan / Montaggio: Jonathan Morris / Musica: George Fenton / Interpreti: Barry Ward, Simone Kirby, Andrew Scott, Jim Norton, Brian F. O’Byrne, Francis Magee, Karl Geary, Aisling Franciosi, Denise Gough / Produzione: Sixteen Films, Element Pictures, Why Not Productions, Wild Bunch / Distribuzione: Bim / Regno Unito, 2014 / Durata: 109 minuti

SUL WEB
Filmografia di Ken Loach
BIM

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Eleonora Saracino

Eleonora Saracino, giornalista, critico cinematografico e membro del Sindacato Critici Cinematografici Italiani (SNCCI), si è laureata in Storia e Critica del cinema con una tesi sul rapporto Letteratura & Cinema. Ha collaborato con Cinema.it e, attualmente, fa parte della redazione di CulfFrame Arti Visive e di CineCriticaWeb. Ha lavorato nell’industria cinematografica presso la Columbia Tri Star Pictures ed è stata caporedattore del mensile Matrix e della rivista Vox Roma. Autrice di saggi sul linguaggio cinematografico ha pubblicato, insieme a Daniel Montigiani, il libro “American Horror Story. Mitologia moderna dell'immaginario deforme” (Viola Editrice).

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