Quali sono i modi di approcciarsi a un’immagine fotografica? Diversi, ovviamente. Le possibilità di esprimersi sulla sostanza di una fotografia variano secondo il rapporto che si ha con la materia in questione: si può andare dal punto di vista del critico fino a quello dell’individuo che nella sua esperienza esistenziale entra in contatto con le immagini che inondano la società in modo casuale. Così, se chi fa critica analizza un’immagine attraverso criteri che sono intrinseci alla sua professione (altra cosa è l’interpretazione dell’immagine successiva all’analisi), un non critico adotta criteri del tutto personali (assolutamente legittimi) che derivano esclusivamente dalla propria sensibilità.
Ma cosa succede quando nel campo della relazione tra individuo e immagine entra in gioco una disciplina che si chiama neuroestetica?
Sono recentemente tornato su questo argomento dopo aver letto il saggio di David Freedberg e Vittorio Gallese (Movimento, emozione ed empatia nell’esperienza estetica) pubblicato su Teorie dell’immagine – Il dibattito contemporaneo (Raffaello Cortina Editore, 2009). Naturalmente si tratta di un discorso complesso che riguarda la ricerca scientifica relativa al rapporto tra sfera delle funzioni cerebrali e fruizione dell’opera d’arte (dunque anche della fotografia).
Proverò concisamente e in maniera più semplice possibile (non essendo un neuroscienziato) a fornirvi alcune indicazioni.
La prima riguarda i cosiddetti neuroni specchio: cioè quei neuroni che operano quando un soggetto percepisce visivamente l’azione compiuta da un altro soggetto. Ebbene, come dimostrano numerosi studi, i neuroni che si “accendono” in una persona che percepisce un’azione altrui sono gli stessi di quelli che si “accendono” in un individuo che effettua questa azione. Questo particolare meccanismo viene definito simulazione incarnata (ed ecco il secondo punto significativo), cioè quel fenomeno per il quale chi rileva un’azione non solo la percepisce, appunto, ma addirittura la simula internamente.
Ed ora veniamo alla fotografia. Come sostengono nel loro saggio Freedberg e Gallese:
“(…) la ricerca sui neuroni specchio ha dimostrato che persino l’osservazione di immagini statiche di azioni stimola l’atto di simulazione del cervello dell’osservatore” (…).
Questa interessante affermazione porta la nostra sfera d’attenzione verso un’altra questione. Di fronte anche a un’immagine statica (per esempio una fotografia o una qualunque opera d’arte) si innesca il processo di cui ho appena parlato e ciò produce nell’osservatore una reazione di tipo empatico. Come dicono Freedberg e Gallese riferendosi all’opera di Goya “Disastri della Guerra”:
“(…) le reazioni fisiche degli osservatori sembrano localizzarsi precisamente nelle parti del corpo minacciate, oppresse, bloccate o destabilizzate nella raffigurazione. Inoltre, l’empatia fisica si tramuta facilmente in sentimento di empatia emotiva per i modi in cui il corpo viene danneggiato o mutilato” (…)”.
Dunque, cerchiamo di organizzare questo processo ancora più in sintesi. Il fruitore dell’immagine (tramite i neuroni specchio e la simulazione incarnata) quando (ad esempio) è posto davanti a una fotografia cruenta avrebbe una reazione empatica anche di tipo fisico (empatia viene dal greco en, cioè dentro, e pathos, cioè sentimento) che produrrebbe una reazione emotiva (emozione, dal latino emovēre, cioè portar fuori, smuovere).
Alla luce della neuroestetica, disciplina nata negli anni ’90 grazie agli studi del professore (britannico) di neurobiologia Semir Zeki, le conseguenze percettive nell’ambito della fruizione delle opere d’arte, delle immagini e, dunque anche delle fotografie, sarebbero racchiuse tutte in questo sistema del cervello e causerebbero esiti sostanzialmente di tipo empatico ed emotivo (cioè dall’interiore all’esteriore). In tal senso, la percezione dell’immagine sarebbe legata a un meccanismo che potremmo considerare pre-linguistico, pre-culturale e, di fatto, totalmente automatico. La nostra esperienza estetica sarebbe il risultato di un preciso dispositivo fisiologico e biologico autonomo e involontario (e quindi non modificabile o controllabile).
Si tratta, ovviamente, di un’impostazione estremamente interessante che però si scontra con la storia culturale del genere umano. Ma forse neuroestetica, linguaggio, psicologia e storia dell’evoluzione culturale e del pensiero possono convivere.
© CultFrame – Punto di Svista 12/2014
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Teorie dell’immagine – Il dibattito contemporaneo – a cura di Andrea Pinotti e Antonio Somaini (Raffaello Cortina Editore – 2009) – Saggio: Movimento, emozione ed empatia nell’esperienza estetica di David Freedberg e Vittorio Gallese.
La visione dall’interno. Arte e Cervello di Semir Zeki (Bollati Boringhieri – 2007)
Con gli occhi del cervello. Immagini, luci, colori di Semir Zeki (Di Renzo Editore – 2011)
Neuroestetica – L’arte del cervello di Chiara Cappellotto (Laterza – 2009)
La bella e la bestia: arte e neuroscienze di Ludovica Lumer e Semir Zeki (Laterza – 2011)
Immagini della mente. Neuroscienze, arte, filosofia – a cura di Giovanni Lucignani e Andrea Pinotti (Raffaello Cortina Editore – 2007)