Nella linea del cinema d’autore più rigoroso, quasi estremo, Hungry Hearts di Saverio Costanzo è un film claustrofobico sulla claustrofobia, un sentimento ostile declinato con il racconto di un infelice rapporto di coppia e di una forma malata di amore materno, ma soprattutto sottolineato a livello di stile e scelte espressive. Il cuore del film è tutto giocato sull’angustia degli spazi e sull’idea della costrizione (già a partire dalla prima lunga sequenza, con i due protagonisti imprigionati nella toilette sotterranea di un ristorante), e poi sul sospetto reciproco (i due protagonisti non si fidano, si spiano, si pedinano), sulla paura che incombe (la contaminazione del cibo, dell’aria, degli apparecchi elettronici), sull’insofferenza fisica che cresce (il continuo invito al partner ad allontanarsi, lavarsi, stare in silenzio), e infine sulla lotta sempre più manifesta tra l’interno in cui stare rintanati e difendersi (le stanze chiuse, piccole e senza aria) e l’esterno in cui ogni tanto provare a fuggire (però di nascosto e inseguiti).
Nel conflitto mortale ingaggiato tra i due giovani sposi, Mina e Jude, il regista non prende posizione se non usando lo strumento del cinema: il posizionamento della macchina da presa, la scansione dei blocchi narrativi, la routine dei gesti quotidiani e dei silenzi sempre più pesanti, la scelta degli obiettivi. Per sottolineare il senso di disagio e precarietà, ad esempio nella scena girata sulle scale in cui la nonna incontra per la prima volta il neonato, Costanzo posiziona la macchina da presa in alto, sul soffitto, e gira un’unica e lunga inquadratura verticale (come Hitchcock in Psyco), con la nonna che prova più volte ad abbracciare il bambino e la madre spaventata che lo ritrae; per sottolineare la solitudine di Mina, sempre più chiusa in se stessa e al mondo, Costanzo usa ad un certo punto degli obiettivi deformanti che dilatano e allungano spazi e figure (come Repulsion di Polanski). Di fronte ad un amore che muore e crea dolore, Costanzo descrive i comportamenti dei due protagonisti come fossero cavie di laboratorio, li segue nella loro casa e nel loro incubo, nelle loro paure e nei loro inganni. Non ci sono parenti, né amici, né colleghi di lavoro che possono aiutarli. Sono soli. New York, la città in cui vivono, è vista di sguincio, spiata dalla finestra o da una piccola terrazza ricavata sul tetto, che però provoca vertigine e malessere.
Il mondo esterno è lontano e impotente, un luogo in cui ricevere consigli inutili (il dottore, l’avvocato) e castighi inevitabili (i poliziotti che vengono ad eseguire la sentenza del tribunale). Dunque la storia di Mina e Jude ha il destino segnato, al centro delle loro attenzioni e preoccupazioni c’è solo un bambino che non cresce e diventa, con il suo corpo, un vero terreno di lotta: il padre teme la denutrizione e si sforza di farlo mangiare, la madre lo impedisce perché crede che quel cibo sia per lui un veleno. E’ una partita a due che Costanzo racconta con freddezza da entomologo e senza concessioni allo spettacolo: inquadrature strette, ma con angolazioni quasi sempre sorprendenti (ottimo il lavoro di Fabio Cianchetti), che servono ad aumentare e stringere uno spazio quasi sempre mentale, e a pedinare i due protagonisti nel loro aggirarsi nella casa e nel dramma come anime in pena.
Solo alla fine, ma quando tutto è accaduto, il film sembra aprirsi all’esterno con la lunga sequenza girata davanti all’oceano, a Long Island, a confermare la coerenza del progetto estetico del film e la sapienza registica di Saverio Costanzo, autore imperfetto e straordinario, di certo tra i migliori nell’attuale cinema italiano.
© CultFrame 01/2015
TRAMA
Un giovane americano e una ragazza italiana, si incontrano a New York. I due si innamorano e decidono di sposarsi. Tutto sembra andare per il meglio, fino a quando un figlio arriva apparentemente a cementare ancor di più la coppia. In verità, la madre inizierà ad avere atteggiamenti ossessivi e iperprotettivi nei riguardi del bambino. Fino a che la situazione precipiterà.
CREDITI
Titolo: Hungry Hearts / Regia: Saverio Costanzo / Sceneggiatura: Saverio Costanzo, tratta dal romanzoIl bambino indaco di Marco Franzoso / Fotografia: Fabio Cianchetti / Montaggio: Francesca Calvelli / Scenografia: Amy Williams / Musica: Nicola Piovani / Interpreti: Adam Driver, Alba Rohrwacher, Roberta Maxwell / Produzione: Wildside / Distribuzione: 01 Distribution / Paese: Italia, 2014 / Durata: 109 minuti