Festins imaginaires. Un film di Anne Georget. 65a Berlinale. Kulinarische Kino

SCRITTO DA
Silvia Nugara

Anne GeorgetPresentato alla 65° Berlinale nella sezione Kulinarische Kino, dedicata al cinema sul cibo, il documentario di Anne Georget Festins Imaginaires ci racconta il fenomeno dei ricettari scritti da internati in diversi campi di sterminio e di prigionia. La regista francese, coadiuvata dallo storico Pascal Ory e sostenuta, tra gli altri, dalla Fondation pour la Mémoire de la Shoah, si dedica a un corpus di cinque diversi documenti: la raccolta scritta a Ravensbrück da Edith Peer e un gruppo di ebree ungheresi, quella dell’ancora vivente Christiane Hingouet internata a Lipsia, i foglietti collezionati da un gruppo di uomini prigionieri a Flöha tra cui il resistente Marcel Letertre, il telo iscritto nel gulag di Potma da Vera Bekzadian e il quadernino delle rêveries culinarie del sergente Warren Stewart prigioniero a Kawasaki durante la seconda guerra mondiale.

La regista li esplora e li interroga con l’aiuto di testimoni e parenti ma anche di numerosi esperti di ambito diverso: storici, filosofi, psicanalisti, filologi, uno chef stellato come Olivier Roellinger nonché il neuroscienziato Antonio Damasio. Con alcuni impariamo a leggere e a interpretare il valore storico di questi incredibili banchetti immaginari che per prima cosa ci parlano del mondo di provenienza dei loro autori e del loro rapporto con il cibo. Infatti dalla scelta delle ricette, dagli ingredienti elencati, dalla perizia o meno delle procedure descritte possiamo risalire alle pratiche alimentari di uomini e donne in un preciso contesto storico; alle soluzioni per sfamarsi di persone che spesso ancora prima di finire nei lager avevano già sofferto la fame; alle origini regionali, sociali e professionali di quelli che il sopravvissuto André Bessière, compagno di prigionia di Letertre, chiama i “moschettieri della forchetta” ricordando quel gruppo che a Flöha si ritrovava a confabulare di brodetti, bouillabaisse e crepes aux champignons mentre tutt’attorno imperversava la morte. Ci sono poi ricette improbabili, fantasticherie a cui si abbandonavano persone in preda alla fame più che reali procedure gastronomiche.

Interrogandosi sulle ragioni antropologiche, sulle funzioni sociali e forse anche fisiologiche di queste scritture, il film rivela che a dispetto della minaccia di eliminazione che pesava su chiunque fosse stato sorpreso a scrivere, il fatto di appuntare ricette su foglietti o pezzi di tela permetteva di creare dei momenti di convivialità segreta in situazione di prigionia, di reagire alla distruzione dei legami sociali e dell’umanità di ciascuno. Interpellati da Georget, gli psicanalisti Maurice Borgel e Géraldine Cerf ipotizzano addirittura che quelle parole fossero, in mancanza di cibo, una fonte di nutrimento non solo per lo spirito ma addirittura anche per il corpo. Dal canto suo, il filosofo Olivier Assouly, autore de L’organisation criminelle de la faim, non ritiene che quelle pagine siano una semplice strategia di sopravvivenza, ravvisando invece nel contrasto tra la finezza delle ricette e il contesto assurdo e mortifero in cui sono state concepite, l’effetto di una ormai assoluta disperazione.

Le interviste sono alternate alle immagini dei documenti su un tappeto sonoro di voci recitanti che danno forma alle ricette tramite il suono delle lingue diverse in cui sono state scritte. Con un occhio attento al dettaglio anche infinitesimale dei materiali, la macchina da presa ci restituisce la grana delle pagine e dei tessuti vergati di parole, il tratto commovente delle diverse grafie: il corsivo di europei e sovietici, lo stampatello del sergente americano.

Si tratta del risultato di un lungo lavoro di ricerca all’origine del quale si trova un precedente documentario di Anne Georget: Les recettes de Mina, Terezin 1944 (2008), nato dall’incontro con David Stern, nipote di Mina Pächter, che durante la prigionia a Theresienstadt compose un quaderno di ricette di cui il film racconta il viaggio attraverso il tempo e lo spazio. Da allora, come ci ha raccontato la regista stessa, ha scoperto altri ricettari scritti in campi di concentramento o di sterminio:

“lo scambio di ricette di cucina nei campi è spesso evocato nelle testimonianze dei sopravvissuti ma generalmente in noticine a pié di pagina. Allo stesso modo, si può vedere una ricetta di gamberi alla basca in un’inquadratura di Notte e nebbia, film molto studiato senza che si dica nulla su quel preciso passaggio”.

Georget si è domandata se si trattasse di un fenomeno proprio ai lager nazisti oppure se qualcosa di simile fosse stato fatto anche in altri contesti in cui la fame e l’assurdità facevano parte dei metodi per annichilire l’umanità dei prigionieri:

“dopo lunghe ricerche ho trovato il ricettario dal gulag e poi quello americano. Dall’America avevo però già letto il libro Recipes out of Bilibid, scritto da un GI prigioniero dei giapponesi ma di cui non sono riuscita a localizzare l’originale ed è ricercando che ho trovato invece il quadernino di Warren Stewart. È allora, verso il 2011-12, dopo aver accumulato un campione significativo, che ho potuto formulare l’ipotesi che si trattasse di un fenomeno universale. Solo a quel punto ho intrapreso la realizzazione del film”.

© CultFrame 02/2015

TRAMA
Ancora poco conosciuto, il fenomeno dei ricettari di prigionia è un enigma complesso e sfaccettato in cui addentrarsi con atteggiamento riflessivo e guide esperte. Attraverso interviste, letture e immagini fortemente materiche, Festins imaginaires racconta di cinque diversi carnet scritti in campi nazisti, in un gulag sovietico e in un campo di prigionia giapponese.

CREDITI
Titolo originale: Festins imaginaires / Regia: Anne Georget / Sceneggiatura: Anne Georget con la consulenza storica del prof. Pascal Ory / Interpreti: André Bessière, Nadia Buntman, Christiane Hingouët-Cabalé, Emile Letertre, Roddie Steward / Fotografia: Olivier Raffet/ Montaggio: Valérie Salvy / Produzione: Octobre Production / Francia, 2014 / Distribuzione: / Durata: 72 minuti

SUL WEB
Filmografia di Anne Georget
Berlinale – Il sito

 

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Silvia Nugara

Silvia Nugara ha un dottorato di Linguistica Francese e i suoi interessi ruotano attorno alle relazioni tra il linguaggio e la costruzione della realtà sociale, con particolare riferimento agli immaginari e ai discorsi relativi alle soggettività di genere. Attualmente è redattrice di Punto di Svista e Cultframe - Arti visive.

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