La condizione migliore per chiunque voglia cimentarsi in una pratica creativa? Essere straniero. Straniero linguisticamente e geograficamente, straniero inteso come altro rispetto a ciò che si è normalmente (o che si crede di essere). La dimensione dell’estraneità rispetto a un contesto culturale, sociale e geografico rende totalmente moderni e attuali, sempre.
Ciò vale anche per chi fa fotografia, ovviamente. Quando si riportano immagini da un luogo molto lontano rispetto a quello dove si è nati e cresciuti (sempre che ci si ponga con spirito totalmente libero), l’elemento di novità non è certo rintracciabile nei luoghi e nei volti che sono catturati dal dispositivo ottico. Gli ambienti, le persone e le cose sono, semplicemente. Nulla di più. È lo sguardo straniero di chi si imbatte in tali elementi a rinnovarsi, e ciò renderà “nuovi” anche gli sguardi degli altri stranieri che li guarderanno per la prima volta. Come ha detto Marcel Proust: “L’unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi occhi”.
E “nuovi occhi” ebbe senza dubbio John Thomson nel corso dei suoi viaggi compiuti nella seconda metà del XIX secolo in estremo oriente. Ceylon, India, Cambogia, Singapore, Cina, lo scozzese Thomson fu costantemente attratto da un’area del pianeta che non era semplicemente diversa dalla sua Scozia: era altra, appunto. Rappresentava, dunque, una dimensione dello sguardo che lo stimolò non tanto a procedere asetticamente con il metodo del fotografo-antropologo quanto piuttosto con quello, più autonomo culturalmente, del fotografo-sognatore che collocava nel suo universo creativo ciò che i suoi sensi percepivano.
Ora, il Museo di Antropologia ed Etnologia di Firenze ospita fino al 24 maggio 2015 una sua mostra intitolata: Primi sguardi verso Oriente. L’esposizione è organizzata dal Kaoshiung Museum of Arts di Taiwan e da 123Art, in collaborazione con Il Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze e il Centro di Cultura di Taiwan di Parigi. Si tratta di ben sessantotto fotografie scattate da John Thomson nel corso delle sue “esplorazioni” a Formosa (oggi Taiwan), Cina e nel sud est asiatico.
Luoghi, individui, volti, donne, lo scozzese riportò da questi paesi lontani una sorta di sistema visuale totalmente ignoto (per gli europei del tempo). Le marine e le architetture dei templi, i visi enigmatici degli individui, le figure femminili, tessere di un mosaico di sensazioni che si collocavano nella mente di Thomson come evocazioni di un universo denso di sfumature ignote. Le sue non erano semplicemente immagini di viaggio, non erano “prove” etnico-antropologiche ma elaborazioni di una mente cresciuta nel sistema occidentale che cercava di dialogare con un altro fattore esistente, ancorché sconosciuto.
I suoi “occhi nuovi” di matrice proustiana non riportavano indietro in modo colonialistico e rapace pezzi di diversità quanto piuttosto facevano emergere dal magma del ricordo sentimenti estetici, cioè legati a una percezione libera e aperta. È proprio per tale motivo che ancora oggi le sue fotografie rappresentano un grande patrimonio culturale, poiché essendo il risultato di un’attitudine soggettiva a lasciarsi attraversare da un’estetica estranea possono essere proposte, nel 2015, come elementi di una memoria che diventa con l’evoluzione del tempo sempre più nitida, precisa e sincera, nonostante siano ormai passati quasi centocinquanta anni.
© CultFrame – Punto di Svista 02/2015
(pubblciato su L’Huffington Post Italia)
INFORMAZIONI
Mostra: John Thomson. Primi sguardi verso oriente
Dal 13 febbraio al 24 maggio 2015
Museo di Antropologia e Etnologia / via del Proconsolo 12, Firenze / Tel: lunedì – venerdì 055.2756444 / sabato, domenica e festivi 055.2757720
Orari: lunedì, martedì, giovedì e venerdì 9.00 – 17.00 / sabato, domenica e festivi 10.00 – 17.00 / chiuso mercoledì, Pasqua, 1° maggio
Biglietti: intero 6 euro / ridotto 3 euro
SUL WEB
Il Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze
Centre culturel de Taiwan, Parigi
123Art