Il 24 aprile 2015 ricorrerà il centenario del genocidio del popolo armeno. In quel giorno del 1915, infatti, circa settecento armeni di Costantinopoli furono trucidati per volere de I Giovani Turchi, movimento politico nazionalista che intendeva far diventare l’Impero Ottomano un paese organizzato intorno a una forma di governo di tipo costituzionale. Questo spaventoso evento diede avvio a quello che può essere considerato il genocidio armeno che porterà alla scomparsa tragica e violenta di circa un milione e trecentomila persone.
Il XX secolo iniziò, dunque, con un vergognoso crimine contro l’umanità che ha anticipato di circa venticinque anni la Shoah, ovvero lo sterminio, durante la seconda guerra mondiale, di sei milioni di ebrei europei da parte dei nazisti. Il problema riguardante il massacro che dovettero subire gli armeni all’inizio del Novecento è che ancora oggi sussistono forti sacche di negazionismo. La Turchia non ha formalmente riconosciuto il genocidio armeno e cerca da sempre di sminuire la portata della tragedia restringendo in modo arbitrario e cospicuo il numero dei morti complessivi.
Non c’è dubbio, dunque, che un tale agghiacciante misfatto debba essere al centro di un lavoro sulla memoria, sia a livello socio-politico che a livello artistico-creativo. In campo cinematografico non si contano molte opere sulla materia. Mi vengono in mente, tra le altre, quelle forse più significative: Ararat (2002), del canadese Atom Egoyan (nato a Il Cairo, in Egitto, da genitori armeni), La masseria delle allodole (2007), di Paolo e Vittorio Taviani e The Cut (2014), del turco-tedesco Fatih Akin. Per quanto riguarda la fotografia, ricordo una mostra a Milano presso il Civico Museo Archeologico, allestita ormai una ventina di anni fa. Si trattava di ottanta immagini scattate dal tedesco Armin T. Wegner (e non solo) negli anni 1915-1916, periodo in cui la deportazione degli armeni e il loro massacro stava assumendo proporzioni spaventose.
Ebbene, in occasione del centenario di questo crimine, il Musée de la Photographie di Charleroi, in Belgio, ha organizzato (in collaborazione con la Fondazione Boghossian e l’Università Saint Joseph di Beirut) un’esposizione estremamente interessante intitolata Les arméniens – Images d’un destin 1906 – 1939 e incentrata su scatti fotografici recuperati proprio dalla collezione della Fototeca della Biblioteca Orientale dell’Università Saint-Joseph di Beirut.
Si tratta di fotografie realizzate da missionari gesuiti (tra questi ricordiamo in nomi di Antoine Poidebard e Guillaume de Jerphanion) in un arco di tempo ampio che evidenziano le drammatiche ripercussioni sulla popolazione armena causate delle persecuzioni subite anche prima del 1915. Inoltre, sono proposte opere che raffigurano i luoghi e i centri abitati dove gli armeni vivevano. Che si tratti di un borgo sperduto tra le montagne o del quartiere di una città turca (come Adana), la sensazione che si prova è quella di percepire una realtà culturale e sociale che aveva gettato le proprie radici in spazi precisi e che venne brutalmente sradicata.
La dignità semplice e seria di alcuni giovanissimi studenti della città di Tokat fotografati da Antoine Poidebard è contrapposta alla massa enorme di orfani ripresi dal dispositivo fotografico a Tarso, dopo il massacro avvenuto nel 1909 presso Adana. Poi, ancora, un lustrascarpe inquadrato mentre sta lavorando può essere messo a confronto a una giovane e fiera donna circassa che guarda in macchina e comunica il proprio mondo attraverso un atteggiamento arcaico-mitico (entrambe le immagini sono Guillaume de Jerphanion).
1. Guillame de Jerphanion. Une circassienne (ou tcherkesse). Per concessione Musée de la Photographie Charleroi
2. Antoine Poidebard. Deux petits écoliers arméniens de Tokat. Per concessione Musée de la Photographie Charleroi
È proprio grazie a opere di questo tipo che è possibile, oggi, sostenere con determinazione la questione centrale della memoria. Il genocidio del popolo armeno non può essere sepolto nel silenzio. Esattamente come è successo nel caso dello sterminio del popolo ebraico, le arti visive devono giocare un ruolo fondamentale, soprattutto per quel che concerne la divulgazione culturale nei riguardi delle generazioni dei più giovani. La fotografia e il cinema, a tal proposito, possono contribuire a innescare quell’importante processo che possiamo definire attualizzazione del passato, processo che trasforma il ricordo di una tragedia da fattore puramente storicistico-museale e oggetto di approfondimento solo per studiosi della materia (dunque lontano da noi e destinato a essere dimenticato) a fenomeno drammatico e angoscioso vissuto nel presente (in modo preciso e capillare) come elemento di memoria, appunto. E tale elemento non può e non deve essere cancellato.
© CultFrame – Punto di Svista 03/2015
(pubblicato su L’Huffington Post Italia)
INFORMAZIONI
Mostra: Les Arméniens. Images d’un destin 1906-1939 / Curata in collaborazione con la Fondazione Boghossian e l’Università Saint Joseph di Beirut
Dal 13 dicembre 2014 al 17 maggio 2015
Musée de la photographie à Charleroi (Belgio) / Avenue Paul Pasteur 11
Orario: martedì – domenica 10.00 – 18.00
Biglietto: Intero 7 euro / Ridotto 5 euro
SUL WEB
Musée de la Photographie, Charleroi, Belgio
La Fondazione Boghossian, Bruxelles
L’Università Saint Joseph di Beirut