“La medicina è un compendio degli errori successivi e contraddittori dei medici”. Probabilmente il Dottor John Thackery sarebbe stato d’accordo con l’affermazione di Marcel Proust poiché nel suo approccio moderno e, addirittura, visionario alla chirurgia, la variabile (umana) dello sbaglio è un nemico sempre in agguato.
The Knick, serial televisivo tra i più “blasonati”, ideato da Jack Amiel e Michael Begler e diretto da Steven Soderbergh, (10 episodi su Sky Atlantic da novembre 2014) sembra riportare agli splendori di un tempo il medical drama che nella tv americana ebbe enorme successo dai tempi del Dr. Kildare (andato in onda dal 1960 al 1966) per poi finire nell’oblio ed essere ripescato, nella metà degli anni Novanta, dal celeberrimo E.R. medici in prima linea e, successivamente, declinato in differenti generi, dal drammatico alla commedia romantica, con – per citare solo i più celebri ‘made in Usa’ – Chicago Hope, Dr. House Medical Division, Nip/Tuck, Grey’s Anatomy e il suo spin-off Private Practice e Monday Mornings.
A parte lo sfortunato destino di quest’ultimo, cancellato dopo la prima stagione, i serial di ambientazione ospedaliera hanno ottenuto, seppur in diverse “epoche mediatiche”, un notevole riscontro da parte del pubblico anche, e soprattutto, grazie al carisma dei protagonisti maschili come George Clooney (E. R.), Patrick Dempsey (Grey’s Anatomy) e Hugh Laurie (Dr. House). In questo The Knick, con Clive Owen nei panni del Dottor Thackery, non fa eccezione ma, per tutto il resto, sì. La prima stagione, diretta interamente da Soderbergh, rappresenta infatti un unicum nell’hospital drama televisivo poiché non si limita a raccontare una o più storie che si svolgono tra le corsie ma ritrae l’immagine, complessa ed inquietante, di un momento storico prossimo alla svolta. Il passaggio al Novecento, in America, ma non solo, rappresenta l’approdo verso la modernità e verso quell’ “uomo nuovo” che Thackery, nella sua smodata ambizione di medico, incarna alla perfezione.
Ispirato alla figura del chirurgo statunitense William Stewart Halsted (1852 – 1922), dai metodi arditi ed anticonvenzionali che tuttavia contribuirono all’innovazione della medicina, quest’uomo, tanto arrogante quanto geniale, è, di fondo, l’archetipo dell’outsider, dell’estro solitario e inquieto, destinato a grandi progetti e, nel contempo, votato ad una tragica autodistruzione. Già nel pilot, infatti, si vede John uscire da un bordello ed iniettarsi la droga in un corpo già abbondantemente martoriato dai fori dell’ago. Come se il tempo a disposizione non fosse mai abbastanza, Thackery sembra lottare contro la sua natura umana per poter superare i propri limiti ma, soprattutto, quelli di una scienza medica che lui vede come una palude stagnante dalla quale cerca di prosciugare, grazie al suo talento visionario, i metodi obsoleti e inefficaci del passato per avventurarsi, con un coraggio che sfiora l’incoscienza, verso percorsi nuovi, arditi e proficuamente moderni.
Soderbergh costruisce così un impianto visivo di straordinario impatto, curato maniacalmente nei dettagli, illuminato da una luce che esprime, in particolar modo nel chiaroscuro, non soltanto l’ambiguità dei personaggi ma anche quell’inafferrabile linea di confine tra ciò che è giusto e ciò che non lo è, rendendo sempre più sfumato il limite del lecito come nel machiavellico motto sulla giustificazione del fine. Perché è ad esso – al risultato, quindi – che si sacrifica ogni convenzione, financo quella etica, per poter arrivare ad una nuova prassi che, con efficacia, contribuisca al miglioramento e, nella maggior parte dei casi, alla salvezza della vita umana. Se la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni, il Dottor Thackery l’ha percorsa tutta. E fino in fondo.
Sostenuto dall’ambizione e dalla droga il medico, puntata dopo puntata, si inoltra progressivamente in un’era nuova e sconosciuta che gli dischiude, sì, straordinarie possibilità ma, al tempo stesso, lo costringe a percorrere un sentiero accidentato in cui ogni, inevitabile, fallimento si rivela, sovente e non certo in senso metaforico, mortale. Il Knickerbocker Hospital si fa così microcosmo umano di una formidabile epoca di transizione all’interno del quale si muovono personaggi spinti, ognuno a suo modo, da personali ambizioni o demoni, interessi o riscatti. Thackery, infatti, è circondato da colleghi che hanno, ciascuno, un diverso approccio alla medicina e da infidi burocrati, impiegati e, addirittura, suore “timorate” di Dio, per i quali The Knick non è che un luogo dove poter lucrare attraverso differenti, ma ugualmente criminosi, traffici.
Nell’andare incontro al nuovo, l’ordine costituito viene così sovvertito non soltanto da singolari e rischiose pratiche chirurgiche ma anche da inediti (ri)assetti sociali qui sottolineati dall’arrivo del Dottor Algernon Edwards, (Andrè Holland), giovane e brillante medico di colore che, da subito, sarà inviso ai più e con il quale Thackery ingaggerà, fin dal primo istante, una sfida umana e professionale che ha il sapore di quella lotta, ferina e primitiva, per la salvaguardia del territorio.
The Knick è, in tal senso, qualcosa di più – o, almeno, di diverso – rispetto al racconto di una serie di storie ed è, semmai, la narrazione della Storia, quella che passa attraverso le invenzioni e le scoperte, illuminata dalla luce elettrica, registrata dal fonografo di Edison, sezionata da nuovi bisturi e consegnata, nel fervore di una rivoluzione che ottimizza e amplia procedure e tecniche, alla modernità del Novecento. Nella sala operatoria (non a caso chiamata “il teatro”) si svolge il dramma vero e proprio. Si opera, si seziona, si sperimenta… tutto senza filtro alcuno, mostrando carne e sangue, lacerazioni e suture. La carne, umana e non, si fa quindi corpus narrativo, nonché compendio di tentativi spregiudicati e atroci, ma anche geniali e validi, di portare avanti il cammino della scienza e lasciar esprimere il genio. Sull’epidermide si traccia allora il percorso di un mutamento che è anche trasformazione oltre la pelle per penetrare, che sia con un bisturi o con un ago, oltre la superficie ed addentrarci in quel sotterraneo sotterraneo, concreto e metaforico, dove albergano incubi e ambizioni. The Knick, infatti, potrebbe essere definito un serial a “doppio strato”, in cui la storia filtra attraverso il visibile e il nascosto, evidenziando le procedure chirurgiche nel luogo deputato ed ufficiale per poi mostrarcene altre nella clandestinità oscura del sottoterra, come a separare il mondo in (dis)umane differenze.
La sceneggiatura di ogni episodio tesse una trama di plumbea drammaticità, senza dimenticare il graffio di un’intelligente ironia, in cui la vicenda sembra tingersi delle tinte fosche del thriller poiché dietro ogni personaggio si cela una storia che, volta dopo volta, si svela diradando – ma sempre parzialmente – le nebbia del mistero che la avvolge. Il passato di Thackery, ma anche quello di Edwards, viene scoperto man mano anche se si ha sempre l’impressione che mai, fino in fondo, la verità stia venendo a galla. L’ambizione e la corruzione, l’audacia e la violenza, la meschinità e l’impudenza sottendono alla narrazione complessa di questo universo concentrato nel Knickerbocker che, andando ben oltre l’epoca in cui è ambientato, universalizza il meccanismo del potere come automatismo atemporale e, tragicamente, umano.
La regia di Soderbergh è rigorosa e, fuori dallo schema televisivo, amplifica la visione di un secolo percorso da inquietudine e genialità, per espanderla in una messa in scena di grande accuratezza che, lungi dall’essere rappresentazione meramente estetizzante, fotografa con crudo splendore il volto di un’epoca, mostrandone luci ed ombre.
Un’autopsia del Novecento che affonda lo sguardo tagliente nelle pieghe di un momento storico attraverso la vita e la morte che si alternano al Knick e che in Thackery concentrano contraddizioni e potenzialità, ma anche debolezze e tentazioni. Nella sua sfida di onnipotenza, John mira a superare la barriera dell’umano con l’aiuto sintetico della droga che, progressivamente, in luogo di superare i limiti, glieli rivelerà in tutta la loro granitica resistenza. Solo allora sembrerà arrendersi all’evidenza della follia della sua corsa fino a quando la scienza, ancora una volta, gli verrà incontro con un altro “elisir” del superuomo. Vedrà così l’alba di una nuova era, quella dell’eroina, che scorrerà nella vene della seconda stagione.
Prossimamente su Sky Atlantic.
© CultFrame 03/2015
CREDITI
Titolo: The Knick / Regia: Steven Soderbergh / Ideatori; Jack Amiel, Michael Begler / Interpreti: Clive Owen, André Holland, Jeremy Bobb, Juliet Rylance, Eve Hewson, Michael Angarano, Chris Sullivan, Cara Seymour, Eric Johnson / Produzione: Anonymous Content / Paese: Usa / Episodi: 10 / Durata: 50 minuti / Programmazione Usa: agosto 2014 sulla rete tv via cavo Cinemax / Programmazione Italia: dall’11 novembre 2014 su Sky Altantic
SUL WEB
Sky Atlantic. The Knick di Steven Soderbergh
Filmografia di Steven Soderbergh