Manoel de Oliveira, uno dei colossi della storia del cinema mondiale, è scomparso all’età di 106 anni. Era nato a Porto nel 1908. Il suo rapporto con il cinema ha avuto inizio nel 1931 con il documentario sperimentale Douro, faina fluvial e si è concluso nel 2014 con la realizzazione del cortometraggio Chafariz das Virtudes. In oltre ottanta anni di lavoro, diversi sono stati i capolavori che ha portato a termine: da Francisca del 1981 a I cannibali del 1988, fino a La valle del peccato del 1993.
Manoel de Oliveira. 2 dicembre 1908 (Porto, Portogallo) – 2 aprile 2015 (Porto, Portogallo)
Il monumentale e multiforme cinema di de Oliveira è caratterizzato da un unico tema di fondo: la riflessione sulla condizione umana e sul bisogno insopprimibile di “rendersi padroni del caos che si è”. La citazione nietzschiana, posta dallo stesso De Oliveira come epigrafe a Viagem ao principio do mundo (1997), costituisce un’ottima chiave di lettura per affrontare una filmografia sterminata, nella quale protagonista è sempre l’uomo, solo di fronte al mistero della vita. Come ricorda la filastrocca, vero e proprio motivo conduttore del film sopracitato, su Pedro Macao, simbolo dell’essere umano che, in completa solitudine, porta sulle proprie spalle il peso dell’esistenza. O la sequenza di Acto da primavera (1963) in cui Cristo, nel momento della sentenza, compie una sorta di percorso circolare, a dimostrazione di una mancanza di vie di uscita, di possibilità di fuga.
Se il film del 1963, un documentario contaminato dai fantasmi dell’immaginazione, rappresenta già un punto fondamentale della produzione del regista portoghese, è, però, con Mon cas (1986) che il cinema di de Oliveira si rivela completamente. La vita come processo di ripetizioni, la solitudine esistenziale di ogni uomo, isolato nella sua essenza, chiuso nella sua impotenza, imprigionato nel proprio “caso” personale: tutto ciò viene messo in scena magistralmente e sfocia, nel quarto atto, nel dialogo di Giobbe con Dio.
La ricerca del significato della vita continua, senza sosta, in A divina comedia (1991): attraverso personaggi che credono di essere Gesù, Lazzaro, Marta, Maria, Adamo, Eva, Sonia, Raskolnikov, Aljosa e Ivan Karamazov o S. Teresa d’Avila, de Oliveira si confronta, ancora una volta, con temi come bene e male, sincerità e ipocrisia, santità e peccato, vita e morte.
Anche una pellicola apparentemente diversa come Vale Abraão (1993) presenta, in fondo, la stessa problematica. Si pensi, in proposito, alla sequenza in cui Ema, la protagonista, insieme ad uno dei suoi amanti, discorre sull’etimologia della parola “rosa”, in sanscrito “anima oscillante”. Così Ema definisce se stessa e così appaiono anche i personaggi delle opere successive del regista.
Prendiamo O Convento (1995): in questo strano thriller-metafisico viene spesso letto il “Faust”di Goethe e, in particolare, il passo in cui Mefistofele, alla domanda “chi sei”, risponde di essere una parte della parte che è esistita intera all’inizio di tutto, una parte delle tenebre in cui è nata “l’ orgogliosa luce”, ora in lotta con la notte, antica madre.
Distruzione, calamità, principio tornano anche in Inquietude (1998), nell’episodio della strega: la vecchia maga cita a Fisalina, che le succederà nel ruolo di “Madre del fiume”, il passaggio della Teogonia in cui Esiodo spiega l’origine del mondo e come la genesi si sia compiuta in assenza di Dio.
E’ evidente, a questo punto, come il cinema di de Oliveira sia animato da una spinta etica, di fronte alla quale chi guarda non può restare indifferente: se in Mon cas, lo spettatore è chiamato direttamente a partecipare, ad esporre il “suo” caso e a trarne le dovute conclusioni, in A divina comedia, ognuno è spinto a scegliere il proprio personaggio, all’interno di una galleria di ruoli, di “tipi” umani. Del resto, già in Acto da primavera, una voce recitava: “Tutti abbiamo un ruolo importante in questo atto”.
Con Palavra e utopia (2000), il regista portoghese ricostruisce, all’interno di un impianto figurativo che guarda ai maestri della pittura fiamminga, la vita di un grande predicatore gesuita del XVII secolo: Padre Antonio Vieira. Nonostante segua un ordine cronologico, Palavra e utopia non è un film documentario, né storico, né didattico o biografico: si tratta di un’opera sui generis, un’opera di fiction che, attraverso i sermoni del protagonista, celebra la grandezza e la forza della parola.
Je rentre à la maison (2001) racconta, invece, il ritiro dalle scene, in seguito ad un lutto, di un grande attore, interpretato da Michel Piccoli. Attraverso le vicende del maturo protagonista e del suo nipotino, de Oliveira comunica, con grande intensità e verità psicologica, la vacuità del vivere di chi, dopo una perdita, deve, comunque, riempire il tempo che resta.
Anche con O principio de incerteza (2002), ispirato ad un romanzo della scrittrice Agustina Bessa-Luis, il nostro autore si conferma raffinato indagatore e conoscitore dell’anima. Segue Un filme falado (2003), limpida sintesi della storia dell’Occidente attraverso la parabola di una nave da crociera che si ferma nei porti storici del Mediterraneo.
Successivamente, de Oliveira mantiene il sorprendente ritmo di lavoro di un lungometraggio l’anno, realizzando opere come O quinto império (2004), Espelho magico (2005), Belle toujours (2006), Cristovao Colombo – O enigma (2007), O Vitral e a Santa morta (2008), Singularidades de uma Rapariga Loira (2009), film diversi tra loro ma accomunati da un elemento ricorrente: con l’età, il regista portoghese sembra far emergere, ancora di più, la forza espressiva dell’immagine.
Negando il cinema come forma artistica specifica, de Oliveira approda ad una sorta di estetica “vampiresca” che si esprime come sintesi di tutte le arti: la scultura, la pittura, la musica, il teatro, la fotografia, l’architettura, amplificano, ancor più che in passato, la rappresentazione cinematografica, aumentandone il fascino e il mistero.
Nonostante l’incertezza e la precarietà della condizione umana, lo spettatore è, comunque, invitato dal regista ad assumere una posizione critica nei confronti di ciò che vede, di ciò che gli viene proposto. E’ questo il significato degli sguardi in macchina, assai frequenti nel cinema di De Oliveira, degli attori: lo spettatore è chiamato ad operare una scelta, ad assumersi le sue responsabilità. Pur sapendo, come Ema di Vale Abraao che l’oscillare è il nostro luogo di elezione.
BIOGRAFIA
Manoel de Oliveira nasce a Porto il 12 dicembre 1908 da un’agiata famiglia della borghesia industriale. Inizia ad interessarsi al cinema molto giovane, grazie al padre che lo porta a vedere i film di Chaplin e di Max Linder, e, a venti anni, si iscrive ad una scuola per attori. Partecipa come comparsa, insieme al fratello Casimiro, al film Fatima Milagrosa (1928) di Rino Lupo. Nel 1931, con il fotoamatore Antonio Mendes, comincia a girare “Douro, faina fluvial”, dedicato alla vita dei portuali di Porto e ispirato al film di Ruttmann Berlino, sinfonia di una grande città (1927). Guadagnata, nel frattempo, una certa notorietà come corridore automobilistico, realizza altri documentari e solo nel 1942 riesce a girare il suo primo lungometraggio Aniki-Bobo, ambientato a Lisbona e interpretato da ragazzi di strada. I progetti successivi non riescono a concretizzarsi per mancanza di appoggio finanziario e de Oliveira è costretto a lavorare nell’azienda agricola di famiglia, occupandosi della produzione di vino. Torna sul set, nel 1956, con il documentario O pintor e a cidade, dedicato alla sua città d’origine. Non gira altri film fino al 1963, anno di Acto da primavera, seguito da A caça (1964). Da questo momento in poi, l’attività di de Oliveira è un crescendo, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo : realizza la tetralogia dell’”amore frustrato” con opere come O passado e o presente (1971), Benilde ou a virgem-mae (1975), Amor de perdiçao (1978), Francisca (1981). Seguono altri numerosi film che confermano il suo sperimentalismo stilistico: si va dal grottesco di Os canibais (1988) all’alto livello formale di Vale Abraão (1993), una versione moderna portoghese di Madame Bovary. Dagli anni ottanta in poi, la carriera di de Oliveira è costellata di premi e riconoscimenti internazionali. Attualmente, a dispetto dei 101 anni compiuti, il regista portoghese sta lavorando ad un nuovo film Lo strano caso di Angelica, basato su una sceneggiatura scritta da lui stesso nel 1952. La vicenda, ambientata negli anni ’50, inizia con un fotografo, ospite di un hotel, bruscamente destato dai proprietari che gli chiedono di fare una foto della figlia appena morta.
© CultFrame 01/2010 – 04/2015
FILMOGRAFIA
1931 Douro, faina fluvial
1932 Estatuas de Lisboa
1932 Hulha branca
1937 Os Ultimos Temporais
1938 Miramar, Praia das Rosas
1938 Portugal Jà Fabrica Automoveis
1940 Famaliçao
1942 Aniki-Bobo
1956 O pintor e a cidade
1958 O coraçao
1959 O Pao
1963 Acto da primavera
1963 A caça
1964 Vila Verdinha
1959-1965 As pinturas do meu irmao Julio
1971 O passado e o presente
1975 Benilde ou a virgem-mae
1978 Amor de perdiçao
1981 Francisca
1982 Visita ou memòrias confissoes
1983 Lisboa cultural
1983 Nice..A propos de Jean Vigo
1985 Le soulier de satin
1985 Simposio international de escultura em pedra Porto 1985
1986 Mon cas
1981-1987 Reflexao de Manuel Casimiro. A proposito da bandeira nacional
1988 Os canibais
1990 Non ou a va gloria de mandar
1991 A divina comédia
1992 O dia do desespero
1993 Vale Abraão
1994 A caixa
1995 O convento
1996 Party
1997 Viagem ao principio do mundo
1998 Inquietude
1999 A carta
2000 Palavra e utopia
2001 Je rentre à la maison
2001 Porto Da Minha Infancia
2002 O principio de incerteza
2003 Un filme falado
2004 O quinto império
2005 Espelho magico
2006 Belle toujours
2007 Cristovao Colombo – O enigma
2008 O Vitral e a Santa morta
2008 Romance de Vila do Conde
2009 Singularidades de uma Rapariga Loira
2010 Lo strano caso di Angelica
2012 Gebo et l’ombre
IMMAGINI
1 Frame del film Vale Abraao (1993)
2 Frame del film Inquietude (1998)
3 Frame del film Filme falado (2003)
4 Manoel de Oliveira