Nel suo capolavoro intitolato Viaggio in Armenia (Adelphi Edizioni, 1988) lo scrittore russo-polacco Osip Mandel’štam scrive:
“…gli uomini dalle grandi bocche e dagli occhi trapanati direttamente nel cranio: gli armeni”. Ed ancora: “Dovunque guardi, agli occhi manca il sale. Cogli le forme, i colori, sempre lo stesso pane sciapo: Così è l’Armenia”.
Si tratta ovviamente di una dilatazione poetica, della trasformazione in parole di un sentimento percettivo di grande profondità, così come estremamente sentite sono le sequenze che Atom Egoyan ha dedicato nel suo film Ararat al pittore armeno Arshile Gorky. Esempi di attenzione creativa verso un popolo, la sua storia e una terra che non molti saprebbero identificare in una carta geografica: tutti elementi che ricorrono raramente negli organi di informazione, nei mass media, finanche nelle riviste specializzate sulla geopolitica.
Ebbene, in concomitanza con il centenario del genocidio del popolo armeno (un milione e mezzo di morti tra il 1915 e il 1916 nell’ambito dell’Impero Ottomano), un raffinato e interessante libro arriva ad alimentare la memoria di questa tragedia del XX secolo, per anni quasi totalmente rimossa. Si tratta di Ferita armena (Gente di Fotografia Edizioni, 2015), della fotografa modenese Antonella Monzoni.
Una distesa di enormi pietre depositate sul terreno: sono tombe che evocano in modo inequivocabile un dramma collettivo che rappresenta uno dei buchi neri del XX secolo; una giovane donna seduta sembra riflettere sul destino del suo popolo; un monastero che fa emergere la profondità di una fede e le tradizioni di genti di grande fierezza.
L’interno di una casa apparentemente povera ma piena di dignità; un cortile “oppresso” da caseggiati incombenti dove alcuni giovani stanno giocando, esprimendo in tal modo il loro desiderio di fuga e libertà; un autobus distrutto e abbandonato che rimane in uno spazio naturalistico quasi a “segnare” per sempre il paesaggio come fosse una ferita non rimarginabile.
Ma lo scatto più potente sotto il profilo estetico (e per estetica intendo il sentimento della percezione generato dall’esperienza) è senza dubbio quello in cui è ritratta una giovane donna armena che corre sorridente verso l’obiettivo fotografico, in una sorta di impulso vitale verso l’esistenza, verso il futuro.
Le immagini che ho descritto fanno emergere la sensibilità di Antonella Monzoni, una fotografa il cui lavoro creativo negli anni si affina sempre di più. Nelle inquadrature dell’autrice di Modena non c’è mai un intento rapace, mai nessun sospetto di atteggiamento “colonialista”. Alla maniera di Raymond Depardon, Antonella Monzoni produce delle fotografie affrancate dal potere immagini, cioè libere dai condizionamenti del mercato della fotografia. Ogni scatto è, dunque, una riflessione sincera che non vuole esaurire il proprio senso nel rituale mediatico della testimonianza; ogni opera è invece un percorso interiore che si inoltra nel territorio della memoria e che rappresenta il risultato dell’attualizzazione nel presente di un passato tragico (che dunque viene sottratto all’oblio). Ed è proprio per questo motivo che le immagini dell’Armenia di oggi, alludendo al dolore di un passato non così lontano, trasformano ogni singola visione nella utopia di un futuro meno funesto.
© CultFrame – Punto di Svista 05/2015
(pubblicato su L’Huffington Post Italia)
CREDITI
Titolo: Ferita Armena / Autore: Antonella Monzoni / Testi: Antonia Arslan, Daniele De Luigi, Aldo Ferrari / Lingua: Italiano e Inglese / Pagine: 176 / Formato: mm 285×240 / Confezione: brossura filo refe, copertina in tessuto / Prezzo: 38,00 euro / ISBN 978-88-95388-19-9
SUL WEB
Il sito di Antonella Monzoni