Com’è noto, Peter Greenaway è un autore affezionato alle proprie ossessioni: su tutte, l’arte e il sesso o il sesso e gli artisti, come anche nel suo lavoro precedente, il film-opera Goltzius and the Pelican Company (2012). Con Eisenstein in Messico (t.o. Eisenstein in Guanajuato), superata la settantina, il regista britannico ha voluto confrontarsi pubblicamente con Sergej Michajlovič Ėjzenštejn (1898-1948), colui che divenne il suo “primo eroe cinematografico” quando scoprì per caso Sciopero (1925) in un cineclub all’età di diciassette anni e a cui nel 1964 dedicò la sua prima mostra di pittura, intitolata Eisenstein at the Winter Palace
Da allora, Greenaway ha visto tutti i film e visitato più volte i luoghi della vita del regista russo, ha ripercorso le sue letture favorite, ha studiato i suoi scritti e anche le lettere che nel 1931 inviò dal Messico alla collaboratrice Pera Atasheva, divenuta poi sua moglie nel 1934, quando l’Unione Sovietica vietò per legge l’omosessualità maschile. Al centro di Eisenstein in Messico c’è proprio l’esperienza messicana del regista, che nel film rievoca anche i suoi viaggi in Europa e Nord America tra il 1929 e il 1931 ai quali Greenaway ha previsto di dedicare un’altra opera intitolata The Eisenstein Handshakes e annunciata per il 2016.
Durante il periodo trascorso in Messico, Ėjzenštejn lavorò a un film rimasto poi incompiuto nonostante vari tentativi di montaggio affidati ad altri autori (l’ultimo fu ¡Que viva México! nel 1979) e che gli venne finanziato, grazie anche all’intercessione di Charlie Chaplin, dallo scrittore Upton Sinclair e dalla moglie con l’aiuto del di lei fratello. Come però racconta Greenaway, concentrandosi in particolare su quelli che definisce “i dieci giorni che sconvolsero Eisenstein”, questi visse a Guanajuato soprattutto un’esperienza di tipo sensuale.
Greenaway ha adattato la vita (e lo stile) del regista russo con qualche libertà e con la sua consueta messa in scena ridondante, ironica e nozionistica per rivelare come in qualche modo l’unica rivoluzione ancora possibile per il cantore della rivoluzione d’ottobre poteva essere quella (omo)sessuale sperimentata in prima persona con il professore di religioni comparate e sua guida messicana Palomino Cañedo. Il cuore del film sono infatti i duetti tra il finlandese Elmer Bäck (che interpreta Eisenstein) e il messicano Luis Alberti (Cañedo) cui Greenaway impone, come sempre, una performance non soltanto dialettica ma anche corporea: lo sverginamento del maestro del cinema sovietico è una sequenza già pronta per l’antologia.
Sul piano linguistico, Eisenstein in Messico è un’opera piena di rimandi e inserti dai film del regista/protagonista, figlio di un architetto e autore di un cinema prettamente visivo fondato sul montaggio e non sulla parola, come quello di Greenaway. Avendo molte parole da far pronunciare ai suoi due personaggi principali, con il ripetuto accompagnamento musicale di Prokoviev, il regista gallese, da una parte, esibisce l’abituale database di filmati, foto e dei disegni erotici firmati da Eisenstein, dall’altra, ha progettato numerosi effetti stereoscopici e digitali, reiterati split-screens tripartiti, carrelli vorticosi e prospettive impossibili in cui ambientare i dialoghi tra Eisenstein e Cañedo, conditi da citazioni delle più celebri sentenze del russo: “I am a scientific dilettante with encyclopaedic interests”, “It’s the result of too much looking”, “Death should always be ready to take a call”.
Benché Greenaway ripeta oramai da decenni che il cinema è morto, buona parte del suo ultimo film testimonia comunque che nelle sue mani la settimana arte è ancora capace di qualche guizzo sorprendente.
© CultFrame 02/2015 – 06/2015
Film presentato alla 65° Berlinale
TRAMA
Sergei Eisenstein giunge a Guanajuato nel 1931 per realizzare un film che non avrà mai modo di ultimare. L’incontro con la cultura messicana costituirà per lui la scoperta di un nuovo rapporto possibile con il corpo, il sesso e la morte.
CREDITI
Titolo originale: Eisenstein in Guanajuato / Regia: Peter Greenaway / Sceneggiatura: Peter Greenaway / Fotografia: Reinier van Brummelen / Montaggio: Elmer Leupen / Scenografia: Ana Solares / Costumi: Brenda Gómez / Interpreti: Elmer Bäck, Luis Alberti, Rasmus Slatis, Jakob Öhrman, Maya Zapata, Lisa Owen, Stelio Savante / Produzione: Bruno Felix, Femke Wolting, San Fu Maltha, Christina Velasco L. / Distribuzione: Teodora Film / Paese: Olanda, Messico, Finlandia, Belgio, 2015 / Durata: 105 minuti
SUL WEB
Filmografia di Peter Greenaway
Berlinale – Il sito
Teodora Film