La fotografia astronomica e il viaggio oltre l’infinito di Stanley Kubrick

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis
Frame tratto dal film “2001 Odissea nello spaizo” di Stanley Kubrick

L’astrofotografia, o fotografia astronomica, è una pratica che ha preso piede fin dal XIX secolo e che continua ancora oggi. Corpi astrali, galassie, pianeti, stelle, cieli e satelliti naturali, inquietanti fenomeni visivi. E ancora: aurore di straordinaria intensità estetica, relazioni visuali inimmaginabili tra terra, luna e pianeti, variazioni cromatiche impensabili, forme che si sviluppano in modo imprevedibile. Il mondo dello spazio, o meglio il territorio dell’infinito, è una incommensurabile area nella quale una sorta di creatività involontaria e automatica si comunica allo sguardo umano, riempiendo gli occhi di impulsi.

Proprio tali impulsi, grazie anche alla fotografia astronomica, sembrano costruire un illusorio paesaggio estetico a cui l’essere umano attribuisce un valore legato al concetto del tutto estemporaneo di bellezza. Ma ciò che ci stupisce, ciò che noi definiamo straordinario, è in realtà un processo fisico e chimico estraneo al concetto di cultura visuale costruito dall’umanità in maniera arbitraria.

Nonostante tutto, però, non è possibile rimanere insensibili a talune immagini come quelle selezionate nella short list del Premio Astronomy Photographer of the Year 2015 gestito dal Royal Museum Greenwich di Londra.

Ebbene, analizzando a fondo alcune di queste “opere”, in special modo quelle in cui il pianeta terra non è visibile e la fruizione si perde nel vuoto interstellare ed intergalattico, non è possibile non pensare al genio assoluto di Stanley Kubrick e al suo capolavoro 2001 Odissea nello spazio (tratto dal romanzo di Arthur C. Clarke). Non mi soffermerò in questo articolo sul senso del film (sono stati scritti in tal senso fiumi di parole e innumerevoli saggi), quanto piuttosto su uno specifico capitolo dell’opera kubrickiana intitolato: Giove e oltre l’infinito.

In questa sublime sequenza l’astronauta David Bowman viene lanciato oltre l’infinito a una velocità probabilmente superiore addirittura a quella della luce. Ciò che i suoi occhi vedono è qualcosa di inimmaginabile, di terribilmente oltre la realtà comprensibile, di totalmente fuori dalle coordinate dello spazio-tempo.

Le pupille di Bowman dilatate, il viso tremante e contratto in una smorfia di paura ed orrore, i segni di mondi paralleli si collocano sul suo viso fino quasi a cambiarne i connotati. Con questa sequenza Kubrick ci racconta paradossalmente “da dentro” l’impossibile e l’irraggiungibile. Tutto in modo narrativamente compatto ed esteticamente sconvolgente, molti più sconvolgente rispetto alle immagini prodotte nell’ambito dell’astrofotografia.

© CultFrame – Punto di Svista 07/2015
(pubblicato su L’Huffingron Post Italia)

2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick – Capitolo Giove e oltre l’infinito

SUL WEB
Royal Museum Greenwich, Londra

Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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