Il fatto che i drammatici accadimenti narrati in Everest si siano realmente svolti nel 1996 non è un elemento significativo dal punto di vista cinematografico, se non per il marketing distributivo. La questione centrale del film non riguarda la prevedibile scelta di realizzarlo in 3D e neanche la presenza nel cast di star internazionali come Jason Clarke, Robin Wright, Keira Knightley e Jake Gyllenhaal.
L’operazione creativa e produttiva messa in atto da Baltasar Kormakur possiede, però, delle caratteristiche che la situano, come prodotto artistico, al di là del “semplice” panorama filmico internazionale. Con ciò non vogliamo affermare che si tratti di un’opera cinematografica che ricorderemo negli anni a venire o che ci abbia particolarmente colpito sotto il profilo visuale e registico. Tutt’altro. Abbiamo, infatti, trovato Everest, pur nell’indiscutibile spettacolarità di talune immagini (non certamente di quelle girate in modo palese in studio), un film totalmente scontato e non travolgente. Oltretutto, l’impostazione da thriller avventuroso, la cui conclusione è praticamente già nota all’inizio della storia (basta documentarsi un po’), non ha portato alcun reale fattore di novità.
Dicevamo, in ogni caso, che Everest è collocabile in un’area, addirittura, fuori dal contesto del cinema puro e semplice. Sì, perché questo lavoro, pone al fruitore degli importanti problemi di carattere filosofico e, finanche, psicanalitico.
Il tema fondamentale riguarda il rapporto tra genere umano e natura. Everest chiarisce un punto: il rapporto asimmetrico tra questi due fattori. La natura del pianeta Terra, infatti, amata ed esplorata dagli uomini (come se questo tipo di attività fosse di imprescindibile importanza) non “chiede” di essere amata ed esplorata. Sono gli esseri umani che attribuiscono un valore a questi comportamenti di tipo mentale e fisico, mentre la natura è completamente indifferente a tali bizzarre esigenze e si trasforma improvvisamente in qualcosa di mostruoso seguendo meccanismi di tipo autonomo. Il disperato tentativo della società moderna di attribuire una sostanza quasi umana al mondo naturalistico riserva spesso, dunque, delle tragiche sorprese. In realtà, quest’atteggiamento è sintomatico del solito penoso problema: l’ossessivo desiderio da parte degli uomini di controllare tutto e di sentirsi superiori (e perché mai dovrebbe essere così) a ogni elemento esistente, montagna compresa.
In un determinato passaggio narrativo, uno dei personaggi principali domanda ai suoi compagni il perché dell’irragionevole scelta di voler scalare la montagna più alta del mondo. Ebbene, questo è il secondo brano centrale dell’opera di Baltasar Kormakur. Le risposte sono all’inizio evasive poi più precise ma prive di un senso che possa essere definito plausibile. Nessuno sa veramente rispondere. La volontà di sfida, quella di superare se stessi? Oppure quella di stupire gli altri per accrescere la propria autostima? Anche se fossero queste le ragioni profonde, non avrebbero alcun significato, se non a livello strettamente soggettivo e psicologico.
In sostanza, Everest è un lungometraggio che potremmo definire realmente drammatico ma non per la tragedia che racconta, quanto piuttosto perché mette in scena, in modo lucido, la disperazione umana, cioè il tentativo assurdo di dimostrare qualcosa di impossibile, lo sforzo paradossale di dominio sul mondo. Così, pur di mettere il proprio dito indice sulla roccia appuntita del punto più alto dell’Everest si può rischiare la propria unica, sola, esistenza.
© CultFrame 09/2015
TRAMA
1996. Due gruppi di scalatori non esperti, uno neozelandese e un altro sudafricano, dopo un allenamento di quaranta giorni cercano di salire sul tetto del mondo: il monte Everest. A guidarli sono alcuni scalatori professionisti che hanno già raggiunto la sommità dell’Everest diverse volte e vari sherpa. La missione avrà esiti tragici. Alcuni, infatti, non ritorneranno più.
CREDITI
Titolo: Everest / Titolo originale: id. / Regia: Baltasar Kormákur / Sceneggiatura di William Nicholson, Simon Beaufoy / Monstaggio: Mick Audsley / Fotografia: Salvatore Totino / Scenografia: Gary Freeman / Musiche: Dario Marianelli / Interpreti: Jason Clarke, Josh Brolin, John Hawkes, Robin Wright, Michael Kelly, Sam Worthingon, Keira Knightley, Emily Watson, Jake Gyllenhaal / Produzione: Working Title / Paese: USA, 2015 / Distribuzione: Universal Pictures / Durata: 121 minuti
SUL WEB
Sito italiano del film Everest di Baltasar Kormakur
Filmografia di Baltasar Kormakur
Universal Pictures