The Lobster ⋅ Un film di Yorgos Lanthimos

SCRITTO DA
Giovanni Romani
Yorgos Lanthimos

Togliamoci subito il pensiero: distopico (contrario di utopico). Aggettivo ormai imprescindibile quando si tratta di fantascienza, di gran moda tra nerd ed espertoni, e sì, il futuro di The Lobster è certamente distopico, cioè cupo, disturbante, indesiderabile. Ma se dovessi definire il primo film in lingua inglese del greco Yorgos Lanthimos, temo che utilizzerei il meno raffinato “sòla”.

Autore anche della sceneggiatura in coppia con il fido Efthymis Filippou, il regista mette in scena un pamphlet d’antan, stracarico di significati e metafore, pretenzioso e velleitario. Due ore piene di simbologie e dialoghi sottovuoto, raggelate da una freddezza programmatica che vorrebbe tanto fare Godard, ma finisce per sfinire lo spettatore in attesa di un climax che viene, ovviamente, negato: troooppo mainstream! Lanthimos ha evidentemente mandato a memoria temi ed atmosfere dell’ottima serie inglese Black Mirror, fantascienza grottesca e, questa sì, distopica, disturbante e intrisa di un black humour assolutamente britannico.

Ma The Lobster accumula una tale congerie di riferimenti e citazioni da risultare mero esercizio di stile (bofonchiare a caso alcune strofe di “Where the Wild Roses Grow” di Nick Cave, ma perché?), irritante quanto didascalico, dalla critica alle imposizioni sociali, fino alla metafora della cecità, il regista greco non ci fa mancare niente e, paradossalmente, ciò che lo spettatore avverte è soltanto un senso di vuoto drammaturgico che, specie nella seconda parte, porta la narrazione a smarrirsi nell’oscurità del bosco.

The Lobster è un’opera fuori tempo massimo, dal gusto anni ’70, ma dopo Buñuel il surreale contemporaneo abbisogna di ben altro slancio, non della fiacca riproposizione di un’estetica pauperista. La versione noir del bosco disneyano, la rilettura “distopica” (appunto) delle favole, la freddezza dell’insieme, l’atarassia dei personaggi: tutto già visto, ed in forma migliore. Se la prima parte in cui un dimesso e bravo Farrell si aggira nell’albergo “dell’imbrocco”, sebbene non originalissima, risulta omogenea ed intrigante, da metà in poi la pellicola si avvita in un noiosissimo nonsense in cui le azioni appaiono antitetiche alle motivazioni, la narrazione lascia il posto alla lezione, il racconto abdica a favore della tesi, la regia si fa etica (in senso deteriore) rinunciando all’estetica. Diamo fiducia al promettente Lanthimos in attesa di un’occasione in cui abbia meno da dimostrare e più da mostrare.

© CultFrame 10/2015

TRAMA
In un futuro distopico, le persone single, una volta trasferite in un hotel, sono obbligate a trovare un compagno nell’arco di 45 giorni. Se questo non accade, queste vengono trasformate in un animale a loro scelta e abbandonati nelle foreste. Solo un uomo disperato riesce a infrangere le regole, fuggire dall’hotel e a rifugiarsi in un bosco. Qui vivono i Solitari, e il fuggiasco conoscerà l’amore.


CREDITI

Titolo: The Lobster / Regìa: Yorgos Lanthimos / Sceneggiatura: Yorgos Lanthimos, Efthymis Filippou / Fotografia: Thimios Bakatakis / Montaggio: Yorgos Mavropsaridis / Scenografia: Jaqueline Abrahams / Interpreti principali: Colin Farrell, Rachel Weisz, Jessica Barden, Olivia Colman, Ashley Jensen / Produzione: Element Pictures, Scarlet Films, Haut et Court, Lemming Film, Limp / Distribuzione: Good Films / Paese: Irlanda, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Olanda, 2015 / Durata: 118 minuti

SUL WEB
Filmogarfia di Yorgos Lanthimos
Good Films

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Giovanni Romani

Nato a Udine, arraffo un diploma di maturità classica. Mi diplomo a Firenze alla Bottega Teatrale di Vittorio Gassmann. Me ne vado a Roma a far teatro, in seguito cinema con Gianni Amelio. Scippo una mediocre laurea in giurisprudenza alla Statale di Milano e nel contempo inizio a scrivere recensioni per il Messaggero Veneto. Abbandono la carta per la rete, prima con Cinema.it, per poi approdare a CultFrame - Arti Visive. Attualmente: avvocato tatuato cinefilo cinofilo.

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