All’inizio del capolavoro di Powell e Pressburger Scala al paradiso (1946) una didascalia informa lo spettatore che il film racconta l’incontro tra un mondo reale e uno che esiste soltanto nella mente di un uomo, il protagonista, la cui fantasia è stata violentemente influenzata dalla guerra. Il primo è quello dei vivi, il secondo appartiene ai morti. La separazione tra vita e morte sembra non valere in una cultura orientale nel cui imaginario proliferano le forme di limine e contatto tra questi due universi costantemente compresenti e in dialogo; che si incontrano in quel territorio-soglia che è il sonno, e particolarmente quello profondo come un coma in cui cadono i soldati ricoverati nell’ospedale dove è ambientato l’ultimo film di Apichatpong Weerasethakul.
Ispirandosi a un caso di narcolessia collettiva che pare si sia verificato realmente nel suo Paese, il regista tailandese prosegue con Cemetery of Splendour una personale riflessione poetica sugli intrecci tra sonno e veglia, passato e presente, giovinezza e vecchiaia, vita e morte. Una riflessione già avviata nei suoi film più noti, Tropical Malady (2004), Zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti (2010), entrambi premiati a Cannes e distribuiti in Italia, e nel film di un’ora Mekong Hotel (2012). Molto stratificato, sul piano politico il film si presta a essere letto come la messa in scena di una società della stanchezza (per riprendere l’idea del coreano Byung-Chul Han) in cui il sonno manifesta il rifiuto delle logiche efficientiste che reggono la vita sociale e si fa forma di sottrazione, di resistenza. In uno dei suoi brevi momenti di veglia, infatti, il militare dichiara di voler lasciare l’esercito per tornare alla campagna.
Al di là del piano del discorso e delle interpretazioni che si possono elaborare a partire dalle immagini così ben fotografate da Diego Garcìa (che ha preso il posto di Sayombhu Mukdeeprom occupato da Miguel Gomes per Arabian Nights – As mil e uma noites), Cemetery of Splendour brilla per l’atmosfera trasognata e spaesante in cui sono calati i suoi personaggi: un ospedale allestito dentro a una vecchia scuola a sua volta costruita sulle rovine di un cimitero laddove anticamente sorgeva un palazzo reale ormai inghiottito dalla giungla. Tutta una teoria di spazi e memorie incapsulate che non possono essere distrutte neppure dalla prepotenza delle ruspe approdate in quei pressi per preparare il cablaggio a fibra ottica della zona. In questo universo, la tecnologia futuribile non fa tabula rasa del più remoto passato. Tutto si tiene e coesiste, così come oggetti e simboli della cultura occidentale (la Coca Cola, l’FBI, i mariti americani delle donne locali) si appoggiano simili a soprammobili sulle strutture portanti di una cultura elastica e resistente come canna di bambù.
Weerasethakul utilizza il cinema per intrecciare tra i personaggi relazioni insolite, per distribuire in modo sorprendente tensione affettiva e profondità erotica: tra il giovane militare narcolettico e l’anziana inferma che prende l’abitudine di fargli visita si instaura così una complicità che raggiunge l’acme in una scena che farà la felicità di chiunque creda nel potere socialmente sovversivo dell’empatia spirituale e corporea.
Cemetery of Splendour è insomma un film da vedere a occhi ben aperti, sognando. La critica internazionale è già d’accordo al riguardo: come calcolato dall’esperto di cinema orientale Dario Tomasi incrociando i risultati delle classifiche dei migliori film del 2015 stilate dalle due riviste di cinema più importanti al mondo, i “Cahiers du cinéma” e “Sight & Sound”, l’ultimo lungometraggio di Apichatpong Weerasethakul risulta al primo posto assoluto.
© CultFrame 11/2015
TRAMA
In un ospedale improvvisato all’interno di una scuola che sorge dove c’era un tempo un antico palazzo reale (con cimitero) giacciono alcuni militari entrati in coma a seguito dei traumi subiti in guerra. Una volontaria li assiste e stringe amicizia con uno in particolare di loro, che talvolta si sveglia per qualche ora prima di ripiombare addormentato. Una medium ne esplora i sogni e li fa comunicare con la famiglia. Il passato leggendario dell’area sembra influire sul sonno e sulla veglia di tutti i personaggi.
CREDITI
Titolo originale: Rak ti Khon Kaen / Titolo internazionale: Cemetery of Splendour / Regia: Apichatpong Weerasethakul / Sceneggiatura: Apichatpong Weerasethakul / Interpreti: Jenjira Pongpas, Banlop Lomnoi, Jarinpattra Rueangram, Petcharat Chaiburi / Fotografia: Diego Garcia / Montaggio: Lee Chatametikool / Scenografia: Akekarat Homlaor / Produzione: Tailandia-UK-Francia-Germania-Malesia, 2015 / Durata: 122 minuti
SUL WEB
Filmografia di Apichatpong Weerasethakul
CULTFRAME. 33. Torino Film Festival – Il programma
Torino Film Festival – Il sito