Identità, memoria, diaspora: l’opera fotografica di Hrair Sarkissian a La Spezia

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis
© Hrair Sarkissian. Churches, 2009
© Hrair Sarkissian. Churches, 2009

© Hrair Sarkissian. Churches, 2009

Libano, Canada, Argentina, Belgio, Usa, Brasile. Questi sono solo alcuni paesi da cui provenivano gli artisti che hanno partecipato con le loro opere al grande successo che il Padiglione dell’Armenia (Armenity) ha avuto nell’ambito della 56. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia da poco conclusasi. Il Leone d’Oro per la migliore partecipazione nazionale ha suggellato la maturità di un movimento artistico che si è sviluppato proprio intorno alla questione della diaspora armena, verificatasi dopo il genocidio del 1915 ad opera dei turchi.

Ebbene, tra gli artisti presenti a Venezia c’era anche Hrair Sarkissian, fotografo eclettico ed estremamente interessante, nato in una famiglia armena rifugiatasi nei primi del Novecento a Damasco proprio per sfuggire alle persecuzioni a cui il suo popolo era purtroppo sottoposto.

Ora, arriva in Italia quella che potrei definire come la prima grande retrospettiva italiana di questo artista, il quale presenta dei tratti  molto significativi non solo per la storia che concerne le sue origini ma anche per gli esisti creativi che riguardano il suo lavoro. La mostra in questione (Back to the Future) è ospitata a La Spezia presso la Fondazione Carispezia, dal 27 novembre 2015 al 21 febbraio 2016, con la cura di Filippo Maggia.

© Hrair Sarkissian. Zebiba, 2007

© Hrair Sarkissian. Zebiba, 2007

Hrair Sarkissian, nato a Damasco nel 1973, si è formato prima a livello umano e familiare presso il Sarkissian Photo Center della capitale siriana (famoso negozio gestito dal padre) e poi, a livello accademico, presso l’ENSP – École Nationale Supérieure de la Photographie di Arles (Francia). Si tratta, dunque, di un autore in grado di esprimere una complessa architettura creativa e visuale che deriva non solo dai suoi studi ufficiali ma anche da una frequentazione della fotografia che è iniziata praticamente nella fanciullezza. A ciò si aggiunge l’enorme patrimonio culturale che deriva dalla sua storia, dalla sua appartenenza e dalla sua identità nel solco di quel mix culturale di straordinaria portata che l’ha fatto divenire, suo malgrado, una sorta di collettore sensibile di vicende storico-umane, sociali e intellettuali.

La mostra di La Spezia propone una visione globale del suo lavoro attraverso i suoi progetti principali. Tra questi vi voglio segnalare innanzitutto Zebiba, serie basata su ben quarantacinque ritratti di devoti mussulmani che portano ben visibile sulla propria fronte quello che potrei definire come un “bernoccolo della preghiera”. Le immagini sono organizzate a livello formale sull’elemento linguistico del primo piano. I soggetti ripresi su sfondo nero mostrano il loro volto dirigendo lo sguardo in macchina e mettendosi in diretta relazione non solo con l’autore delle immagini ma anche con il fruitore delle opere. Un metodo artistico pensato, con tutta probabilità, nel tentativo di abbattere confini ideologici, barriere culturali e reciproche diffidenze.

In Churches, Hrair Sarkissian si concentra su ex ambienti religiosi  di Amsterdam che hanno perduto la loro funzione iniziale divenendo luoghi adibiti ad altro uso. In questo caso, possiamo affermare di trovarci di fronte a un lavoro di notevole interesse, poiché la dimensione espressiva scelta da Sarkissian è quella della dialettica visiva tra buio assoluto e tagli di luce. È proprio tale dialettica (di contrapposizioni) che finisce per generare nel fruitore una sorta di insinuante inquietudine e di profonda curiosità analitica, quest’ultima allo stesso tempo densa di paura ma anche di innumerevoli possibilità interpretative.

             Hrair Sarkissian                   Hrair Sarkissian

© Hrair Sarkissian. Stand-Still, 1998

Veramente impressionante sotto il profilo estetico è il lavoro denominato Stand and Still, basato su opere nelle quali sono rappresentati fotograficamente degli stabili in via di costruzione nella zona di Damasco. Sono aree abbandonate, in cui trionfa una sensazione di vuoto che lascia il fruitore in una condizione di perturbante sospensione. Scheletri di palazzi, strutture lasciate nel limbo del “non concluso”, edifici geometricamente razionali ancorché collocati in modo quasi “dechirichiano” nello spazio comunicano un potente straniamento, forse l’impossibilità del compimento di un’opera umana che sembra alludere sottilmente alla condizione dell’artista stesso.

Emerge, dunque, da questa serie di lavori una sostanza personale e creativa che si manifesta per la sua complessità, i suoi vuoti, i suoi desideri inespressi, ma anche per la sua vivacità e la sua brillantezza concettuale, una variegata architettura di segni che fornisce a chi guarda tutte le sensazioni tipiche che possono nascere dalle culture della diaspora.

                                Hrair Sarkissian                                           Hrair Sarkissian

© Hrair Sarkissian. My Father & I, 2010

L’identità di Hrair Sarkissian, nella sua dolorosa perdita di un centro di gravità permanente di tipo territoriale, è stata in grado, però, di produrre una vitale cultura visiva anche grazie alla pratica creativa, una pratica che nasce all’interno di un mondo familiare evidentemente fondamentale per la sua formazione, come per altro ampiamente testimoniato dal lavoro denominato Father and I, toccante progetto basato su fotografie degli ambienti dello studio paterno e da diversi ritratti a colori dello stesso Sarkissian messi giocosamente in raffronto con ritratti in bianco e nero del genitore.

© CultFrame – Punto di Svista 11/2015
(pubblicato su Huffington Post)

INFORMAZIONI
Hrair Sarkissian – Back to the Future
Dal 27 novembre 2015 al 21 febbraio 2016
Fondazione Carispezia / via D. Chiodo 36, La Spezia / info@fondazionecarispezia.it
Orario: martedì – venerdì 15.00 – 19.00 / sabato e domenica 10.30 – 13.00 e 15.00 – 19.00 / chiuso lunedì, 25, 26 dicembre 2015 e 1 gennaio 2016 / Ingresso libero

SUL WEB
Fondazione Carispezia, La Spezia

 

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Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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