L’opera di Mario Dondero? Passione, curiosità, onestà intellettuale

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis
Copertina del libro “Un modo di vivere” di Mario Dondero pubblicato da Edizioni della Meridiana, 2004
Copertina del libro “Un modo di vivere” di Mario Dondero pubblicato da Edizioni della Meridiana, 2004

Copertina del libro “Un modo di vivere” di Mario Dondero pubblicato da Edizioni della Meridiana, 2004

Cosa avevano di particolare le immagini di Mario Dondero? È molto facile rispondere a questa domanda: la sincerità creativa dalle quali scaturivano. Ed ancora: una visione esistenziale limpida, diretta, nella quale la fotografia si collocava come esigenza primaria di volontà non tanto di rappresentazione estemporanea del mondo quanto piuttosto come risultato del desiderio vitale di conoscere (l’altro). In tal senso, Dondero era spinto a fotografare, in primo luogo, perché era ossessionato dall’osservazione, da quella tensione tutta interiore, caratteriale, che lo spingeva a scrutare l’esistente, a cogliere i fatti da un punto di vista basilare e, per certi versi, puro (moralmente): quello che nasce dalla schietta curiosità verso ciò che si vuole comprendere.

Il fotografo di origini liguri, ma da qualche tempo residente a Fermo, è scomparso il 13 dicembre all’età di 87 anni. Lascia un’importantissima lezione non solo in ambito fotografico ma anche per quel che riguarda la sfera umana. In una realtà come quella del fotogiornalismo contemporaneo basata, in alcuni casi, sulla vacua esaltazione di presunte star del settore e su una certa, inutile, spettacolarizzazione espressiva, la lezione di Dondero è stata, e continuerà ad essere, molto precisa: il fotogiornalismo è una disciplina e una pratica comunicativa e culturale che non deve cedere a talune derive estetizzanti e deve essere portata avanti soprattutto da una sana e vera passione (anche politica); tale passione deve correre di pari passo alle tensioni culturali individuali e deve essere basata su un altro elemento fondamentale: l’onestà intellettuale. Il rigore dell’immagine nell’opera di Dondero è, in sostanza, direttamente proporzionale alla forza umana della sua persona e alla sincerità dei suoi interessi (tra questi, certamente, ricordiamo l’Africa).

Copertina del libro “Dalla parte dell’uomo” di Mario Dondero pubblicato da Il Canneto, 2012

Copertina del libro “Dalla parte dell’uomo” di Mario Dondero pubblicato da Il Canneto, 2012

Per rendersi conto delle caratteristiche di questo vero fotogiornalista, che ha collaborato a lungo con testate giornalistiche italiane e francesi ed è stato al centro di diverse pubblicazione editoriali, basta analizzare a fondo i ritratti che ha realizzato nell’arco della sua lunga carriera, ritratti in cui intellettuali, filosofi, artisti, attori venivano ripresi all’interno di un meccanismo di normalità espressiva e compositiva che contribuiva ad esaltare la parte umana dei soggetti ripresi. Dal mirabile scatto in cui sono ripresi insieme Maria Callas, Luchino Visconti e Leonard Bernstein all’immagine di Pier Paolo Pasolini insieme a sua madre, da Jean-Paul Sartre intento a leggere il giornale (con accanto Simone de Beauvoir) al ritratto di Alberto Moravia, sornione e tranquillo, Dondero non ha mai “santificato” i suoi soggetti, li ha proposti nella loro umanità, senza orpelli e sovrastrutture.

Dondero non si è mai definito un artista, alimentando un comprensibile, e forse anche giusto, vezzo di chi fa fotogiornalismo pur possedendo un cristallino talento visivo come si evince ad esempio dai ritratti di Anouk Aimée, morbidamente distesa su un letto, e di Jean Seberg, avvolta in un ampio maglione e colta nella sublime delicatezza di un gesto denso di lirica femminilità. Ma forse lo scatto che maggiormente lo rappresenta come fotografo e grande osservatore dell’evoluzione della cultura europea è certamente quello realizzato nel 1959 in cui sono raffigurati gli esponenti (con la presenza anche di Samuel Beckett) del Nouveau Roman a Parigi. Si tratta di un’inquadratura non particolarmente complessa ma che contiene un suo ritmo interno sorprendente e che porta alla luce perfettamente lo spirito di una realtà creativa che rappresentava in pieno il fermento culturale francese che, tra l’altro, in quegli anni porterà anche alla nascita della Nouvelle Vague cinematografica. Un piccolo capolavoro basato su una alta sintesi espressiva come raramente capita di vedere nel fotogiornalismo di oggi.

© CultFrame – Punto di Svista 12/2015
(pubblicato su L’Huffington Post Italia)

SUL WEB
Mario Dondero – Sito ufficiale

 

Condividi
Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

Articoli correlati

Previous
Next

1

About

New CULTFRAME – Arti Visive rappresenta la naturale evoluzione della precedente rivista fondata nel 2000. Vuole proporre ai lettori un quadro approfondito della realtà creativa italiana e internazionale. L’intenzione è quella di cogliere ogni nuovo fattore che possa fornire sia agli appassionati che agli addetti ai lavori un affresco puntuale e moderno riguardo gli sviluppi odierni delle Arti Visive.

3

COPYRIGHT © 2024 CULTFRAME – ARTI VISIVE.
TUTTI I DIRITTI RISERVATI. AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE DI ROMA N. 152 DEL 4 MAGGIO 2009