La mente umana è una macchina perfetta, un labirinto pieno di corridoi che si intersecano l’uno dentro l’altro, una spirale ipnotica impossibile da comprendere nella sua complessità. La mente ama l’ignoto, ma non può accettarlo: il bisogno di capire è un’esigenza atavica dell’uomo che spesso, e forse mai come oggi, “inciampa” in risposte banali ma soddisfacenti, condivisibili per la loro capacità di placare, anche solo per un attimo, la necessità di spiegazioni, prima di passare a un altro quesito. In Regression questo meccanismo si amplifica e la fame di riscontri tangibili assume la forma di una psicosi collettiva.
All’inizio degli anni ’90, in una piccola cittadina del Minnesota, il detective Bruce Kenner sta indagando su un caso estremamente delicato: Angela Gray, 17 anni, accusa il padre di aver abusato di lei praticando riti satanici ai quali avrebbe partecipato anche la nonna. Una trama “semplice”, quella scritta e diretta da Alejandro Amenábar, alla quale si aggiungono, in netto contrasto tra loro, due personaggi fondamentali alla risoluzione della detection: lo psicologo Kenneth Raines, uomo di scienza chiamato ad affiancare Kenner nelle indagini, e il reverendo Beaumont, uomo di fede che protegge Angela nascondendola nella luce della sua chiesa.
Il thriller psicologico immaginato da Amenábar, che prende spunto da fatti realmente accaduti negli Usa tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, si sviluppa lentamente, nel torpore di una cittadina in cui tutti si conoscono e credono di sapere. Un microcosmo buio, nel quale è difficile far luce, che si rispecchia in tre ambienti: la casa di Angela, dove tutto è caos e sporcizia, che appare come luogo degli orrori, il distretto di polizia, dove i colleghi del detective Kenner non lesinano definizioni semplicistiche sulla famiglia Gray e sul caso, e la chiesa del cupo reverendo Beaumont, che, estrapolato dal suo ruolo religioso, insinua il dubbio invece di fornire sostegno. Con il proseguire delle indagini e il conseguente sviluppo della psicosi, lo sguardo si allarga sempre di più: i media, cartacei e non, danno ampio spazio a notizie di rituali satanici che nessuno può confermare e anche l’autorevole FBI si occupa di casi simili, salvo poi chiuderli per mancanza di prove. Il detective Kenner, incapace di mettere a fuoco i fatti a causa delle molteplici e contraddittorie influenze esterne, deve lottare con se stesso per ritrovare la propria lucidità: il suo personaggio, interessante ma poco delineato, è la metafora dell’individuo schiacciato dal pensiero collettivo, in bilico tra la verità oggettiva e la verità che “ci viene raccontata”.
In questa mescolanza di logica e irrazionalità, Amenábar inserisce l’elemento dell’ipnosi regressiva, una pratica sperimentale molto discussa che permetterebbe di far affiorare ricordi rimossi durante uno stato di trance indotto dal terapeuta. Ma è proprio in questo labirinto dell’inconscio che il film perde la bussola. Il regista cileno, infatti, lascia fluire la sua fascinazione per i meccanismi della mente perdendo di vista le altre linee narrative che, improvvisamente, perdono di verosimiglianza affondando nella banalità. I personaggi, prima avvolti da un’aura di suspance alla quale Amenábar ci aveva abituati con i suoi precedenti lavori (Tesis, Apri gli occhi, The others) perdono complessità, e il tentativo di introspezione diventa superficiale e di facile lettura. A poco serve l’apprezzabile ricorso a un vocabolario cinematografico di genere che affonda le radici nella filmografia horror degli anni ’70 (da L’esorcista a Rosemary’s Baby), sostenuto dalla fotografia di Daniel Aranyó: la storia si mostra per quella che è, un esercizio di stile in attesa di un grande ritorno.
© CultFrame 12/2015
TRAMA
Minnesota, 1990. Il detective Bruce Kenner sta indagando sul caso di Angela Gray, una ragazza di 17 anni che accusa il padre John di aver abusato ripetutamente di lei durante dei riti satanici. Quando John confesserà, ma senza avere memoria di ciò che ha fatto, Kenner chiederà l’aiuto di un famoso psicologo per tentare di far affiorare i ricordi attraverso l’ipnosi regressiva. Ma la verità è nascosta in un abisso ben più torbido.
CREDITI
Titolo: Regression / Titolo originale: id. / Regia: Alejandro Amenábar / Sceneggiatura: Alejandro Amenábar / Fotografia: Daniel Aranyó, A.E.C. / Montaggio: Carolina Martínez, Geoff Ashenhurst / Scenografia: Carol Spier / Interpreti: Ethan Hawke, Emma Watson, David Thewlis, Lottare Bluteau, Dale Dickey, David Dencik, Peter Macneill, Devon Bostick, Aaron Ashmore / Produzione: Mod Producciones, Himenóptero, First Generation Films, Telefónica Studios / Paese: Spagna, Canada, USA, 2015 / Distribuzione: Adler Entertainment, Leone Film Group, Lucky Red / Durata: 106 minuti