Una figura maschile, ben vestita. Giacca, cravatta, calze di lana pesanti. Le braccia lungo il corpo, capelli in ordine, occhi chiusi. È il cadavere di un uomo o un individuo dormiente? Niente di tutto ciò. Si tratta di quella che può essere considerata una messa in scena a scopo scientifico-giudiziario, orchestrata per dimostrare l’efficacia del metodo della cosiddetta “fotografia metrica” di Bertillon. Autore dello scatto, realizzato nel 1925, è Rudolph A. Reiss, docente dell’Università di Losanna, caposcuola della disciplina denominata “scienze forensi”, criminologo e fotografo.
© R. A. REISS, coll. IPSC. Messinscena dimostrativa del sistema di fotografia metrica di Bertillon, con un corpo a simulare il cadavere e l’apparecchiatura in posizione. Materiale didattico per corsi e conferenze. Rodolphe A. Reiss, 1925. Collezione dell’Institut de police scientifique dell’Università di Losanna.
Questa immagine apre il volume intitolato Images of Conviction – The Construction of Visual Evidence (Le Bal – Editions Xavier Barral) e fa parte della mostra Sulla scena del crimine. La prova dell’immagine dalla Sindone ai Droni, allestita presso Camera – Centro Italiano per la Fotografia di Torino.
Siamo, dunque, nel campo della finzione scientifica. Il tutto per verificare la sostanza del protocollo creato da Alphonse Bertillon nel 1903 per documentare in modo oggettivo la scena di un delitto. La procedura in questione veniva effettuata con una macchina “zenitale”, dotata di un obiettivo grandangolare e posizionata su un treppiede molto alto, come dimostrato da altre immagini di tipo didattico.
La fotografia, in sostanza, è entrata da oltre un secolo nelle attività di indagine e documentazione dei crimini (spesso utilizzata nei casi di omicidi). Reiss fu il primo grande studioso e docente universitario in grado di stabilire principi operativi e regole di elaborazione utili per poter poi sfruttare in un secondo momento (per scopi forensi) le immagini prodotte sui luoghi dei delitti. Colpisce, a esempio, come Reiss avesse elaborato un sistema di riprese in successione, che possedeva le caratteristiche tipiche del cosiddetto “decoupage classico hollywoodiano”, secondo il quale fosse necessario procedere, al momento dei rilievi fotografici di un reato, in modo progressivo, e logico, da un piano ampio (in grado di descrivere la scena in modo compiuto) fino a inquadrature più strette sui dettagli, ovvero sulle tracce da esaminare.
Ma sia il volume sopracitato che la mostra torinese (entrambe le iniziative nate grazie all’ideazione e alla curatela di Diane Dufour) non si fermano certo agli esordi della fotografia forense. Questo studio si spinge molto oltre nel tentativo di esaminare tutte quelle fattispecie in cui la disciplina fotografica può servire a documentare nei più svariati modi quelli che vengono definiti come crimini sociali, politici, civili e militari. Si va così dalle immagini scattate nel 1914 da aerei militari per verificare gli effetti devastanti dei bombardamenti alle fotografie segnaletiche dei “nemici” del comunismo nell’Unione Sovietica prebellica, dalle immagini del Processo di Norimberga del 1945 contro i criminali nazisti alla raffigurazione della distruzione effettuata nel 1988 dall’esercito di Saddam Hussein nei riguardi del Kurdistan iracheno, fino alle macerie prodotte dai bombardamenti israeliani sulla striscia di Gaza nel 2009.
Un catalogo minuzioso e puntuale, quindi, che narra come la fotografia possa essere utilizzata per testimoniare le azioni (quasi sempre belliche) spesso durissime degli esseri umani sul territorio, sulle città e le aree edificate nonché sulle popolazioni. Tra i vari esempi che più mi hanno colpito, però, non posso evitare di concentrarmi sul procedimento che venne utilizzato nel 1984 per identificare in modo inequivocabile il criminale nazista (fuggito in Brasile) Josef Mengele. In quell’occasione, gli esperti chiamati a esaminare il corpo di quello che sembrava essere il terribile aguzzino nazista si dovettero concentrare in primo luogo sullo scheletro per verificare se corrispondesse alle proporzioni corporee del soggetto. La prova regina che servì per l’identificazione certa di Mengele venne, però, grazie all’abilità di un patologo tedesco, Richard Helmer, il quale mise a punto un processo tecnico attraverso il quale era possibile sovrapporre l’immagine video di un volto all’immagine video di un cranio.
Infine, una considerazione. Non v’è alcun dubbio sul fatto che il lavoro effettuato per realizzare Images of Conviction/La scena del crimine sia di estremo interesse e di grande importanza anche per quel che riguarda l’approfondimento storico-scientifico relativo alla disciplina fotografica. Rimane, però, sempre una certezza parallela: l’immagine fotografica anche quando utilizzata in ambito strettamente razionale, e addirittura accademico, continua a manifestarsi da sempre nel suo complesso e spesso indecifrabile rapporto con la realtà. Senza voler scomodare le problematiche relative all’uso mediatico della fotografia, è bene ricordare che punto di vista, selezione del campo visuale, uso della luce, angolazioni, istante dello scatto, sono elementi decisivi per l’attribuzione di un “significato fotografico” e a volte questo significato (che designa) può non essere così certo come si è portati a pensare.
© CultFrame – Punto di Svista 02/2016
(pubblicato su L’Huffington Post Italia)
INFORMAZIONI MOSTRA
Mostra: Sulla scena del crimine. La prova dell’immagine dalla Sindone ai Droni / Mostra ideata da Diane Dufour
Dal 27 gennaio all’1 maggio 2016
CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino / Via delle Rosine 18, Torino / Tel: 39.011.0881150 / camera@camera.to
Orario: lunedì, mercoledì , venerdì – domenica 11.00 – 19.00 / giovedì 11.00 – 21.00 / martedì chiuso
Biglietto: intero 10 euro / ridotto 6 euro
CREDITI LIBRO
Volume: Images of Conviction – The Construction of Visual Evidence (Images à Charge. La construction de la preuve par l’image) / Le Bal – Xavier Barral Éditions / A cura di Diane Dufour, con il contributo di Christian Delage, Thomas Keenan, Tomasz Kizny, Luce Lebart, Jennifer Mnookin, Anthony Petiteau, Eric Stover e Eyal Weizman / 240 pagine / 280 immagini / Lingue: Inglese, Francese / Prezzo: 45 euro / ISBN: 978-2365110839
SUL WEB
CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino