Minuscoli dettagli, l’angolo di un tavolino, il lembo di una coperta, un lavandino, un armadio, un piccolo lucernaio. È un mondo chiuso in se stesso, autoreferenziale, nel quale due anime cercano di sopravvivere costruendo una tragica apparente normalità. Fuori c’è lo “spazio”, o meglio la realtà, quella che Jack (un bambino di cinque anni) ha visto sempre solo attraverso il filtro raggelante della televisione. Quella del bambino che vede la luce solo attraverso un’apertura sul tetto e di sua madre (che lui chiama semplicemente Ma’) è un’esistenza vissuta nella reclusione, nella separazione dagli altri. Una vita claustrofobica e drammaticamente isolata, gestita maniacalmente da un “orco”, un pervertito che aveva rapito Ma’ quando la ragazza aveva diciassette anni.
Questo è, sostanzialmente, il plot di Room, film dell’irlandese Lenny Abrahamson, un’opera che prende spunto dal romanzo omonimo di Emma Donoghue che con tutta evidenza fa riferimento ad alcuni clamorosi casi di sequestri di persona di bambine e adolescenti avvenuti negli USA.
Si tratta di un lavoro basato su due elementi precisi, entrambi riconducibili alla professionalità di Abrahamson: la sua capacità di girare in maniera credibile all’interno di quello che nella finzione è un ambiente angusto e la sua abilità nel dirigere (nell’ambito di un’operazione creativa molto complessa) un bambino molto piccolo: il canadese Jacob Tremblay.
In particolare, risulta interessante il modo in cui l’accoppiata Abrahamson (regia)/Donoghue (sceneggiatura) sia riuscita a comporre in tutta la prima parte del film (ambientata nella stanza dove erano reclusi i protagonisti) una dimensione visuale/narrativa molto vicina a quella del fotografo/filosofo Jean Beaudrillard: ovvero la rappresentazione di una condizione basata su una relazione diretta solo con particolari concreti, piccoli oggetti tangibili che costituiscono un mondo in grado di confinare la realtà fuori dai margini dell’inquadratura., dunque oltre il visibile.
Questa ampia sezione dell’opera è senza dubbio la parte più toccante e riuscita sotto il profilo strettamente cinematografico, poiché dal momento della liberazione dei due sequestrati, il film si colloca improvvisamente in un territorio espressivo totalmente tradizionale, grazie a una regia corretta ma non più veramente creativa che pian piano trasforma Room in un lungometraggio assolutamente ordinario, fino a diventare nella fase conclusiva quasi tedioso e prevedibile.
Come abbiamo già affermato, il giovanissimo Jacob Tremblay, nei panni di Jack, è veramente sorprendente, ma ciò non stupisce più di tanto visto che la sua esperienza come attore è già oggi, all’età di soli nove anni, decisamente molto articolata (tra tv e cinema è già comparso in una dozzina di progetti).
Da non sottovalutare anche la prestazione di Brie Larson (Ma’), attrice e cantante statunitense, che alla “tenera” età di ventisei anni ha collezionato (in qualità di interprete) oltre trenta film per il cinema e quasi venti partecipazioni in ambito televisivo.
© CultFrame 10/2015 – 03/2016
TRAMA
Una ragazza poco più che ventenne vive reclusa in un capanno insonorizzato e chiuso da una porta blindata. A sequestrarla all’età di diciassette anni è stato un pervertito, da cui nel corso del sequestro ha addirittura avuto un bambino: Jack. Sarà proprio Jack, con grandissimo coraggio e nonostante la sua giovanissima età, a riuscire a fuggire e ad avvertire la Polizia.
CREDITI
Titolo: Room / Regia: Lenny Abrahamson / Sceneggiatura: Emma Donogue, tratto dal suo romanzo omonimo / Fotografia: Danny Cohen / Montaggio: Nathan Nugent / Scenografia: Ethan Tobman / Musica: Stephen Rennicks / Interpreti: Brie Larson, Jacob Tremblay, Joan Allen, Sean Bridgers, William H. Macy / Distribuzione: Universal Pictures / Paese: Irlanda, Canada, 2015 / Durata: 118 minuti
SUL WEB
Filmografia di Lenny Abrahamson
Festa del Cinema di Roma – Il sito
Universal Pictures