SebastianO ⋅ Un film di Fabrizio Ferraro

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis

Una lunga, ondeggiante, inquadratura che trasporta la visione dello spettatore in un ambiente naturalistico oscuro e misterioso. Lo sguardo del narratore alla fine ne esce fuori, quasi liberandosi dall’angoscia dell’indecifrabile, ma un corpo, una figura umana che sembra non perire mai, ripiomba lentamente dentro il mistero del mondo, dentro l’indifferenza dell’esistente e l’abisso del nulla. Poi, l’immagine perde definitivamente la sua fragile stabilità, una vertigine finisce per impadronirsi di essa, fino a far svanire ogni cosa.

La parte conclusiva di SebastianO, ultima opera filmica scritta, composta visivamente e prodotta da Fabrizio Ferraro, rappresenta una sorta di territorio espressivo nel quale confluiscono poeticamente tutti gli elementi già sviluppati proprio da Ferraro nelle sue precedenti opere. Ma SebastianO rappresenta qualcosa di più: è il superamento forse definitivo, e certamente consapevole, del concetto di film tradizionale, inteso come racconto cronologico e plausibile di una storia basata su dei personaggi. Non c’è, infatti, alcuna intenzione di narrare alcunché, di veicolare contenuti, di produrre significati e di manifestarsi attraverso messaggi.

SebastianO è un film evocativo, è un testo allusivo, è l’eco di un altro testo visuale/pittorico: il dipinto di Mantegna dedicato proprio alla figura del santo martire cristiano (vissuto all’epoca di Diocleziano). L’immagine, in quest’opera, si esprime nella pienezza della sua potenzialità comunicativa (esattamente come in pittura), diviene senza ombra di dubbio significante e si mostra alla percezione del fruitore come lo strumento utilizzato da Fabrizio Ferraro per mettere in atto un discorso dalla sostanza fortemente filosofica. Le inquadrature, dilatate all’ennesima potenza a livello temporale, si attivano sempre in direzione dello svuotamento e nascono dal principio (deleuziano) dell’attesa e dell’agguato creativo. Ferraro aspetta che le idee visive si formino costruendo un percorso estetico in cui ogni particolare visivo, anche il più insignificante, genera in chi guarda un sentimento.
Siamo nel campo dell’estetica, appunto, non del virtuosismo linguistico/tecnicistico. E l’estetica non può che generare poesia.

Ma questa impostazione visuale, a mio avviso unica nel panorama del cinema italiano di oggi, non imprigiona il discorso di Fabrizio Ferraro, anzi lo libera verso una dimensione filmica che si poggia su due elementi fondamentali: l’estraneità dell’individuo al tutto e la negazione dei concetti di tempo chronos e kairos.

Fabrizio Ferraro

Ai giorni nostri, due soggetti si aggirano per le rovine di Roma. Non fanno parte, però, del meccanismo turistico consumistico e conformistico; si muovono come fantasmi, assoluti stranieri in un paesaggio musealizzato che dovrebbe rendere tutto leggibile e interpretabile e che invece trasforma ogni elemento in un feticcio. I due protagonisti sono, dunque, perfettamente assenti,  si spingono in uno spazio senza Tempo e totalmente fuori dalla Storia. Esattamente come Sebastiano e i suoi carnefici, i quali percorrono sentieri senza direzione, boschi algidamente indifferenti e guardano la realtà senza esprimere alcuna relazione con essa. Sono, di fatto, anche loro fuori dal Tempo e dalla Storia. Camminano in direzioni contrarie, si perdono, si fermano e ripartono, si spostano in definitiva lungo la linea dell’aion. Il prima e il dopo non esistono, gli eventi si manifestano senza alcuna coordinata spazio-temporale, il qui e l’ora sono concetti inutili e vacui, il presente manca costantemente a se stesso, svanisce nello stesso istante in cui sembra manifestarsi, si lancia contemporaneamente verso il passato e il futuro.

In tal senso, Fabrizio Ferraro ha realizzato con SebastianO un testo filmico che possiede un valore prettamente visuale/filosofico e che allude, con estremo rispetto, al dipinto di Mantegna senza perdersi in facili e ovvi citazionismi.

Ciò che rimane allo spettatore dopo la visione di quest’opera è una sensazione di libertà assoluta, di emancipazione dal potere delle immagini a favore dell’anarchia dell’immaginazione, l’impressione che tutto sia già accaduto e che, allo stesso tempo, tutto possa ancora succedere.

© CultFrame – Punto di Svista 03/2016

TRAMA
Due turisti, un signore anziano e una ragazza, si aggirano tra le rovine di Roma. Sembrano comunque assenti, quasi estranei alla realtà e al sistema che li circonda. Sebastiano, militare di alto grado dell’esercito di Diocleziano, viene accompagnata dai suoi carnefici verso il suo destino: la morte. Eppure, ogni volta sembra ricominciare tutto daccapo.


CREDITI

Titolo: SebastianO / Soggetto: Fabrizio Ferraro, Marcello Fagiani / Testo, immagine, composizione: Fabrizio Ferraro / Operatore steadycam: Giancarlo Leggeri / Interpreti: Marco Teti, Marta Raggio, Adriano Fabbi, Alessandro Carlini, John Harding / Produzione: Fabrizio Ferraro, Marcello Fagiani, Fabio Parente, Luis Minarro / Distribuzione: Boudu, Passepartout / Paese: Italia / Durata: 89 min.

SUL WEB
Boudu

Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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