Giorno di festa ⋅ Un film di Jacques Tati

Negli ultimi anni le estati cinematografiche si rivelano propizie per le “riscoperte” cinematografiche di tanti capolavori. Nella calda stagione del 2016 la Ripley’s Film, in collaborazione con la Viggo, ripropone sul grande schermo le versioni restaurate dei film del grande Jacques Tati (Mon Oncle, Les vacances de Monsieur Hulot, Playtime) tra i quali il mirabile Giorno di festa (Jour de Fête), il suo primo lungometraggio del 1949, che fu al centro di una serie di vicissitudini che potremmo definire “cromatiche”. Tati, infatti, iniziò a girarlo nel 1947, nel piccolo comune di Sainte-Sèvère-sur-Indre, con due macchine da presa e due pellicole: una in bianco e nero e una a colori. Il negativo di quest’ultima, realizzato in Thomsoncolor, non riuscì ad essere sviluppato in Francia per mancanza di un adeguato laboratorio di stampa e, nel 1949, uscì quindi in bianco e nero ma, nel 1961, Tati fu in grado di colorarlo utilizzando un antico sistema artigianale chiamato “au pouchoir” (già usato nel XIV secolo e che venne adottato nei primi anni Venti per colorare le cartoline e le illustrazioni) fino a quando, solo nel 1994, grazie al contributo di Sophie Tatischieff (il vero cognome di Jacques che proveniva da una famiglia di origine russa) e di François Ede, venne finalmente stampato l’originale negativo a colori.

Ciò che arriva a noi è la versione di Giorno di festa così come Tati l’aveva fortemente desiderata ed è anche l’occasione per scoprire, o riscoprire, un cinema fatto di piccoli ma sapienti tocchi di genio che hanno segnato magnificamente la sua Storia.

Il protagonista del film, lo stralunato postino François, appare già nel cortometraggio di diciotto minuti, L’école des facteurs, girato dal cineasta francese nel 1947. La peculiare fisicità di questo personaggio (interpretato dallo stesso Tati), con la sua altezza, la sua magrezza, i calzoni troppo corti, la divisa troppo stretta e la borsa a tracolla con la quale armeggia senza sosta, enfatizza ancor di più la naturale comicità di questo artista che ha saputo declinare la risata attraverso l’osservazione – puntale e non priva di un’amara nuance – della società in via di cambiamento.

jacques Tati
In un microcosmo rurale durante il secondo dopoguerra fervono i preparativi per l’annuale festa tanto attesa. Le giostre, le bancarelle e i giochi occupano la piazza del paese in un’atmosfera di brioso via vai dei cittadini che contribuiscono, a vario titolo, all’organizzazione della ricorrenza. Un documentario sulle poste americane, dal metodo di consegna ultraveloce e attraverso mezzi come gli elicotteri e gli aerei, esalta così tanto François che decide “modernizzare”, tra l’ilarità e la crudele derisione di molti suoi compaesani, il proprio mestiere con risultati disastrosi.

Tati, nelle ampie inquadrature, mostra abilmente in che modo la quiete del villaggio venga allegramente stravolta dalla festività e vi incastona i suoi personaggi come in un tableau vivant in cui ciascuno esprime, a suo modo, l’eccitazione di quella, seppur fugace, ondata di novità.

L’artista francese, attraverso François, osserva il mondo da una prospettiva sbilenca quanto assolutamente lucida e il punto di vista del bizzarro postino, così come il suo agire all’interno dell’universo in cui Tati lo colloca, è in grado di cogliere un realismo che si carica di significati satirici grazie all’azzeramento del consueto principio di causa-effetto. Gli eventi, infatti, si susseguono con un ritmo surreale (simile a quello di un cartoon) il cui la realtà, e la sua cosiddetta “normalità”, svelano – pur nella precisione di ogni dettaglio – la loro incoerenza o, per dirla con André Bazin, la loro “incompiutezza”.

La vis comica di Tati attinge da una ben radicata tradizione clownesca e riesce a superarla, mettendo in scena lo spettacolo unico di un protagonista la cui fisicità “ingombra” letteralmente lo spazio, occupandolo, tuttavia, in modo inimitabile. L’enfasi dei suoi gesti, esagerati e maldestri, mette a nudo l’incoerenza del reale e lo sfasamento di senso percepito dall’uomo di fronte al sopraggiungere di una inarrestabile modernità.

Jacques Tati

La mimica silente di Buster Keaton e la vivacità di Charlie Chaplin confluiscono nella comicità di Tati che ne (ri)legge le sfumature senza riproporle pedissequamente ma inserendole nel suo linguaggio, sia fisico, sia verbale. A tal proposito è difficile individuare, in Giorno di festa, dei ben definiti “dialoghi” poiché si tratta, più che altro, di una serie di rumori (voci, suoni, ronzii…) che fungono, insieme alla musica, da vera e propria colonna sonora del film. In questa – apparente – confusione di suoni, Tati altera la nostra percezione, anche uditiva, del mondo rivelandone il suo carattere fallace, come ad introdurre una dissonanza stridente in una partitura perfetta per mostrarne la portata della sua fragilità e della sua imperfezione, squisitamente umane.

La goffaggine del protagonista si fa, addirittura, epifanica, rivelatrice di quel lato ridicolo – e, come lui, ingombrante – che il mondo vorrebbe celare. La comicità dell’artista francese, poetica e stralunata, si fa, così, straordinariamente eversiva, proprio perché cambia la prospettiva, ribalta l’universo a noi conosciuto come se ce lo mostrasse “al rovescio”, rendendo visibili i nodi o i rattoppi di una trama esistenziale della quale sa prendersi squisitamente gioco.

Forse una risata non ci salverà ma certamente, con Giorno di festa, ne gioveranno il nostro sguardo e il nostro spirito, illuminati da una simile, geniale quanto rara, leggiadria.

© CultFrame 06/2016

TRAMA
Il piccolo villaggio di Sainte- Sèvère- sur-Indre vive l’allegra ed eccitata atmosfera di un atteso giorno di festa. Vengono montate le giostre e il tiro a segno e c’è anche un tendone in cui si proietterà un film. Tutti i cittadini contribuiscono con grande impegno ai preparativi e, con loro, anche il postino François, ingenuo e maldestro. Dopo aver visto un documentario sull’efficienza delle poste americano, l’uomo decide che anche il suo lavoro deve “modernizzarsi” e con la sua bicicletta si lancia in spericolate acrobazie con risultati a dir poco catastrofici.


CREDITI

Titolo: Giorno di festa / Titolo originale: Jour de Fête / Regia: Jacques Tati / Sceneggiatura: Jacques Tati, Henry Marquet, René Wheeler / Interpreti: Jacques Tati, Guy Decomble, Paul Frankeur, Santa Relli / Musica: Jean Yatove / Fotografia: Jacques Mercanton,Marcel Franchi / Montaggio: Marcel Moreau / Produttore: Fred Orain per Cady Films / Distribuzione: Ripley’s Film / Francia, 1949 / Durata: 79 minuti

SUL WEB
Filmografia di Jacques Tati

Eleonora Saracino

Eleonora Saracino, giornalista, critico cinematografico e membro del Sindacato Critici Cinematografici Italiani (SNCCI), si è laureata in Storia e Critica del cinema con una tesi sul rapporto Letteratura & Cinema. Ha collaborato con Cinema.it e, attualmente, fa parte della redazione di CulfFrame Arti Visive e di CineCriticaWeb. Ha lavorato nell’industria cinematografica presso la Columbia Tri Star Pictures ed è stata caporedattore del mensile Matrix e della rivista Vox Roma. Autrice di saggi sul linguaggio cinematografico ha pubblicato, insieme a Daniel Montigiani, il libro “American Horror Story. Mitologia moderna dell'immaginario deforme” (Viola Editrice).

Articoli correlati

Previous
Next

1

About

New CULTFRAME – Arti Visive rappresenta la naturale evoluzione della precedente rivista fondata nel 2000. Vuole proporre ai lettori un quadro approfondito della realtà creativa italiana e internazionale. L’intenzione è quella di cogliere ogni nuovo fattore che possa fornire sia agli appassionati che agli addetti ai lavori un affresco puntuale e moderno riguardo gli sviluppi odierni delle Arti Visive.

3

COPYRIGHT © 2024 CULTFRAME – ARTI VISIVE.
TUTTI I DIRITTI RISERVATI. AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE DI ROMA N. 152 DEL 4 MAGGIO 2009