Tariq Teguia è un regista algerino, classe 1966, che pur avendo studiato ed essendo molto attivo in Francia è specialmente legato all’Italia. Tutti i suoi tre lungometraggi hanno infatti avuto delle presentazioni italiane, a partire da Rome wa la N’touma (Rome rather than you, 2006) che fu proposto nella sezione Orizzonti della 63a Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, seguito poi da Gabbla (Inland, 2008), selezionato nel concorso principale veneziano, per finire con Zanji Revolution (Rivoluzione Zanji, 2013), proiettato al Festival Internazionale del Film di Roma e poi distribuito a macchia di leopardo nella nostra penisola dalla Zomia di Donatello Fumarola e Alberto Momo.
Quest’anno, la 52a Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro ha dedicato a Teguia una retrospettiva di tutte le sue opere, non soltanto i tre lunghi ma anche i cortometraggi a essi strettamente connessi: come Ferrailles d’attente (1998), esplorazione dell’anarchia urbanistica di Algeri; La Clôture (2002), con interviste a giovani algerini incapaci di immaginare un futuro nel proprio paese, analogamente ai protagonisti di Rome wa la N’touma che nasce direttamente da questi due corti; Le Cinéma, demain (2013), realizzato per celebrare con settanta secondi di cinema i settant’anni della Mostra di Venezia; e Où en êtes-vous, Tariq Teguia? (2015), co-prodotto da Arte e commissionato dal Centre Pompidou di Parigi in occasione della retrospettiva completa dei film di Teguia che venne organizzata in contemporanea all’uscita nelle sale francesi di Zanj Revolution.
In questo insieme tutto sommato ristretto di opere di forme e durate differenti, firmate nell’arco di poco più di vent’anni, Teguia ha portato avanti un discorso coerente che egli stesso definisce come una “cartografia” dell’Algeria: nel primo lungo, ne ha indagato la capitale e le periferie abitate da giovani che sognano un altrove e progettano la fuga in Europa; nel secondo, ne ha mappato i confini occidentali insieme al topografo protagonista, iscrivendo così la condizione algerina nel contesto africano agitato dai fondamentalismi; in quello che è al momento l’ultimo suo film, ha ripercorso con i moduli del cinema politico le relazioni tra l’Algeria e il Medioriente alla ricerca di una genealogia delle Primavere arabe (prefigurate mille anni fa dalla rivolta Zanji contro il Califfato Abbaside).
D’altronde, prima di consacrarsi al cinema, il regista ha studiato filosofia e fotografia, dedicando una tesi di dottorato alla “Finzione cartografica” nell’opera fotografica di Robert Frank. Da un lato, le figure del topografo e della donna in fuga di Gabbla e quelle del giornalista algerino e della palestinese in movimento perenne di Zanj Revolution rendono più esplicito il rapporto tra geografia fisica e politica, tra frontiere e loro rappresentazioni mentali. Dall’altro, i corpi spaesati nello spazio messi in scena nei film di Teguia raffigurano l’elaborazione formale di un pensiero che soltanto il cinema ha la possibilità di sintetizzare in immagini con una temporalità dilatata.
In un’edizione della Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro che ha dedicato una sezione ai cosiddetti “critofilm”, riflessioni di storia e critica del cinema condotti con il mezzo cinematografico stesso invece che con il solo mezzo verbale, la retrospettiva a Tariq Teguia è dunque, a sua volta, l’omaggio a un cineasta teorico che riflette sul cinema-tempo e il cinema-spazio mappando un territorio culturale che a partire dalle sue radici unisce il filosofico, l’estetico e il politico, Deleuze, Rossellini e Godard.
© CultFrame – Punto di Svista 07/2016
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