Voyage of Time: Life’s Journey ⋅ Un film di Terrence Malick

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis

“Che cosa amo, quando ti amo?”. Una voce off si rivolge in questo modo a “madre natura”. Cerca un senso, un motivo, un perché. Ovviamente, non c’è risposta plausibile che tenga. E anche evocare il concetto di amore non può che essere solo una sorta di piccolo, evanescente, conforto che non trova però riscontri oggettivi.

Potremmo a nostra volta porre un’altra domanda: noi possiamo dire di amare la natura, ma la natura ci ama? Siamo nel territorio della filosofia della natura, appunto, territorio che ha rappresentato “luogo” di approfondimento per innumerevoli filosofi, scrittori, artisti e anche scienziati. Anche il regista americano Terrence Malick si è collocato da tempo dentro questo solco. Dimostra ciò il suo ultimo lavoro: Voyage of Time: Life’s Journey. Questo percorso del tutto personale iniziato, in special modo, con The Tree of Life nel 2011, prosegue, dunque, in modo netto ed inequivocabile.

Chiariamo subito un punto: abbiamo denominato Voyage of Time: Life’s Journey un lavoro e non un film, poiché di fatto un film non è (se ne facciano una ragione i suoi detrattori). Almeno nel senso più tradizionale del termine. Terrence Malick ha oltrepassato da tempo l’idea stessa di cinema per posizionarsi in una dimensione creativa che è una via di mezzo tra la riflessione filosofica e la pura e libera creatività per immagini.

La sua ultima prova è senza trama, senza personaggi, senza dialoghi, senza struttura. È altro rispetto ai canoni della cinematografia. Potremmo definirla un documentario? Forse. Ma sarebbe più corretto collocarla nell’ambito della saggistica visuale e in parte, addirittura in quello del film d’arte.

Terrence Malick

In questo caso Malick utilizza materiale girato da lui, immagini fantasiose ed elaborate in modo digitale e sequenze realistiche di stampo quasi antropologico-sociale. I mondi misteriosi della natura, dello spazio, della biologia sono connessi a scene di povertà e di rituali arcaici, ad aperture verso una realtà che contraddice in maniera fortissima l’imperscrutabile armonia dell’universo e della natura.

Questa struttura espressiva comunica certamente quello che potremmo considerare un sentimento mistico-religioso del tutto personale dell’autore, il quale è con tutta evidenza alla ricerca del sacro. Ma l’impostazione dell’opera è ancor più complessa e “altra”. Nonostante la calda voce fuori campo di Cate Blanchett pronunci spesso le parole “vita”, oppure “amore”, si percepisce costantemente una sensazione di stupore e incredulità, di dubbio (seppur speranzoso).

Su questa visione, però, aleggia l’indifferenza dei meccanismi della natura e dell’universo nei riguardi della disarmonia dei comportamenti umani, del caos sociale, dei conflitti, delle tensioni. Malick testimonia in modo visionario la divaricazione tra il mondo e il genere umano, tra l’infinitezza dell’universo e la triste e per certi versi penosa finitezza dei comportamenti umani.

Tra le inquadrature “artificiali” di una natura incontaminata e pura dell’epoca dei dinosauri e le impressionanti e inquietanti riprese aeree delle grandi e rutilanti metropoli contemporanee esiste una sorta di ellissi storico-filosofica che contiene un’altra domanda: cosa era il mondo e cosa è diventato oggi?

Terrence Malick
Ma l’aspetto che più ci colpisce di questo lavoro è la capacità di Terrence Malick di debordare, al di là dei significati delle immagini. Cerca, infatti, di inoltrarsi nei significanti del mondo liberamente, nonostante in qualche occasione la bellezza esteriore della natura ricalchi taluni modelli dominanti.

Voyage of Time: Life’s Journey pur possedendo delle caratteristiche visuali quasi estetizzanti non cade, però, nel pericolo dello sterile concetto di rappresentazione, anzi spesso la natura appare immaginata, sognata, dilatata, forse anche manipolata. Ma ciò non importa. Contano solo le domande che vengono poste, e le invocazioni che non ottengono risposte.

Proprio questo spazio vuoto tra quesito e soluzione si manifesta come il reale territorio creativo in cui opera Malick, un territorio in cui il presunto reale diventa segno astratto, in cui sono spazzati via contenuti e significati e viene lasciato spazio alle mutazioni delle forme e dei colori. Ed è proprio quest’ultimo aspetto che trasforma Voyage of Time: Life’s Journey da un semplice quanto straordinario viaggio nella vita a un’opera mentale, visionaria, a una riflessione sulla nostra incapacità di saper leggere e capire tutto ciò che ci circonda.

© CultFrame 09/2016

TRAMA
Opera visuale di Terrence Malick sul senso della vita e sul rapporto essere umano-natura. Immagini astronomiche, di eruzioni vulcaniche, di foreste e deserti sono mescolate a situazioni sociali nelle regna il caos umano.


CREDITI

Titolo: Voyage of Time: Life’s Journey / Regia: Terrence Malick / Sceneggiatura: Terrence Malick / Fotografia: Paul Atkins, Mark Deeble, Jörg Wildmer / Montaggio: Rehman Nizar Ali, Keith Fraase, Charlie Lésin / Scenografia: Jack Fisk / Musica: Bach, Beethoven, Haydn, Arvo Pärt / Suono: Joel Dougherty / Effetti speciali: Dan Glass / Narratore: Cate Blanchett / Produzione: Sophisticated Films / Paese: Germany, 2016 / Durata: 90 minuti

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Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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