Documentazione e poesia nelle fotografie di Dayanita Singh. In mostra a Bologna

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis
© Dayanita Singh. Senza titolo. Dalla serie "File Museum", 2012. Courtesy of the artist and Frith Street Gallery, London

© Dayanita Singh. Senza titolo. Dalla serie “File Museum”, 2012. Courtesy of the artist and Frith Street Gallery, London

La fotografia documentaristica, in questi ultimi anni codificata in modo molto rigido, può avere uno sviluppo creativo di tipo poetico? E ancora: la relazione visuale tra fotografia e realtà si può articolare anche nell’ambito di un’architettura espressiva in grado di aprire un mondo estetico del tutto soggettivo e allo stesso capace di alludere a tematiche collettive, addirittura universali? La risposta a queste domande è molto semplice: sì! E non c’è bisogno, in tal senso, di scomodare celebri teorici, critici e filosofi. L’importante è effettuare una ricerca ampia, non solo in ambito strettamente fotografico.

Per quel che mi riguarda, ho avuto la netta impressione di trovarmi di fronte a opere in grado di fornire responsi precisi ai quesiti sopra indicati quando mi sono imbattuto nei lavori di Dayanita Singh, fotografa indiana che espone ormai da tempo in numerosi musei e manifestazioni di livello internazionale.

Ricordo, a tal proposito, l’impressione che mi fece il suo universo espressivo in occasione della Biennale d’Arte di Venezia, sia nel 2011 che nel 2013. Compresi subito che si trattava di un’autrice in grado non solo di utilizzare il dispositivo ottico per raccontare in maniera pseudo-oggettiva il suo paese (in tutte le sfumature possibili) ma anche di una fotografa che, con le sue visioni, trasportava l’immagine fotografica nella dimensione di uno spazio creativo dai tratti lirici.

Ma ancor di più bisogna affermare come Dayanita Singh riesca a esprimersi in modo non convenzionale non solo nei luoghi espositivi, grazie alla sua idea di “museo componibile e adattabile”, ma anche in ambito editoriale. I suoi libri sono delle vere e proprie opere intellettuali, nelle quali la fotografa dispone i suoi lavori, in qualche caso, anche come elementi collegati all’idea di scrittura.

© Dayanita Singh. Senza titolo. Dallo slide show "Archives", 2016 - Proiezione

© Dayanita Singh. Senza titolo. Dallo slide show “Archives”, 2016 – Proiezione

Le potenti, e allo stesso tempo inquietanti, immagini degli archivi indiani (File Room) forniscono al fruitore una doppia sensazione di pieno e di vuoto e portano alla luce un discorso sulla memoria collettiva e individuale in egual modo soggettivo e oggettivo. Lo sguardo sembra potersi inoltrare tra carte e scaffali, e chi guarda può anche immaginare di percepire l’odore di quei luoghi. L’apparente disordine di conservazione dei documenti si tramuta grazie all’impronta stilistica di Dayanita Singh in un ordine misterioso, indecifrabile, archetipico.

In altri lavori, la figura umana (specie per quel che riguarda la fattispecie linguistica del bianco e nero) si manifesta come una presenza carica di sentimenti ed elementi interiori ma gli individui si palesano anche come simboli di classi sociali, di diversi modi di vivere.

In Go Away Closer, la sfera della rappresentazione dei soggetti umani dialoga in maniera sorprendente con la tensione determinata dal vuoto dei luoghi e con l’indifferenza degli oggetti, mentre la dimensione materiale del corpo e la sua collocazione nello spazio dell’inquadratura diventano nuclei tematici centrali di My Self Mona Ahmed, lavoro quest’ultimo di impostazione quasi fotogiornalistica (e certamente di stampo sociale), anche se attraversato da una vena poetica evidente, a tratti toccante.

In Museum of Chance, il tentativo della fotografa è quello di miscelare sapientemente immagini in cui, di nuovo, la presenza del soggetto umano è messa in correlazione con il vuoto sospeso di ambienti chiusi e spazi aperti, in una sorta di danza visivo/narrativa di rara delicatezza.

© Dayanita Singh. File Museum, 2012. Courtesy of the artist and Frith Street Gallery, London

© Dayanita Singh. File Museum, 2012. Courtesy of the artist and Frith Street Gallery, London

Un’occasione per poter vedere in Italia un’ampia selezione di opere di Dayanita Singh è quella fornita dalla fondazione Mast di Bologna a partire dal 12 ottobre prossimo. Si tratta di un appuntamento di grande importanza per addetti ai lavori (critici e fotografi) ma anche per i semplici appassionati. Verranno, infatti, esposte (fino all’8 gennaio 2017) nella photo gallery della Mast ben trecento opere dell’autrice indiana, con la cura di Urs Stahel. L’esposizione sarà intitolata Museum of Machines e comprenderà anche una proiezione di immagini denominata Archives e Factories e l’installazione Museum of Chance.

© CultFrame – Punto di Svista 10/2016
(pubblicato su L’Huffington Post Italia)

INFORMAZIONI MOSTRA
Mostra: Dayanita Singh: Museum of Machines – Fotografie, Proiezioni, Volumi
Dal 12 ottobre 2016 all’8 gennaio 2017
Fondazione MAST / Via Speranza 42, Bologna / Tel: 051.6474345 / staff@fondazionemast.org
Orario: martedì – domenica 10.00 – 19.00

SUL WEB
Il sito di Dayanita Singh
Fondazione MAST, Bologna

 

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Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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