Il dolore generato dall’assenza (improvvisa), il vuoto che accompagna l’esistenza giorno dopo giorno, la sensazione di non poter comprendere gli accadimenti della vita, l’idea che l’abbandono sia la sostanza di un destino che, in fin dei conti, riguardi solo noi, a livello individuale. Ma ancor di più: l’impossibilità dell’elaborazione di un lutto che non si poggia sulla verità, il silenzio pesante della menzogna che scaturisce da una vergogna tipicamente borghese che viene spesso spacciata per estrema dignità. Tutti questi elementi vanno a comporre l’affresco umano che rappresenta il fulcro dell’ultima opera cinematografica di Marco Bellocchio: Fai bei sogni.
Tratto dall’omonimo romanzo autobiografico del giornalista Massimo Gramellini, edito nel 2012 da Longanesi, il film è caratterizzato da un flusso narrativo che ondeggia tra la cupezza assoluta della sofferenza soggettiva e la soavità di uno sguardo infantile che caratterizza la vita del protagonista anche in età adulta. Il racconto è scandito attraverso una struttura narrativa che potremmo definire complessa, ma chiara, in cui il presente (l’infanzia) diviene nel corso dello sviluppo il passato, tramite l’uso sempre più nitido del flashback. Alla fine, l’elaborazione del lutto, anche se ciò non cancellerà l’assenza assordante della persona amata, si comporrà in una consapevolezza che corrisponderà a una sorta di maturità soggettiva reale, quasi fulminea (inconsciamente rinviata negli anni).
Bellocchio agisce sapientemente, soprattutto a livello visivo, costruendo una vicenda interiore con un tocco registico che intende evitare ogni possibile scivolata nel patetismo e nella retorica del dolore della perdita. In parte riesce in questa ardua operazione, grazie soprattutto all’evidente rigore dello stile e alla misura della forma, in parte, però, sembra incartarsi in una prevedibilità emotiva che seppur contenuta prende ogni tanto il sopravvento. In fin dei conti, quella narrata in Fai bei sogni non è, e non sarà, l’unica vicenda (filmica e letteraria) che intende evidenziare poeticamente e psicologicamente i tormenti generati in un individuo dalla perdita di una persona amata, in particolare della figura materna.
Intendiamoci, l’argomento in sé è potente e significativo ma per poterlo narrare di nuovo (oggi) in modo veramente convincente e personale forse sarebbe servita un’impostazione meno scontata, e anche una sceneggiatura più attenta alla costruzione umana del personaggio che, ad esempio, vediamo improvvisamente giornalista sportivo e poi, altrettanto repentinamente, inviato in zona di guerra. A ciò, si aggiunge il fatto che Valerio Mastandrea, pur all’altezza (professionalmente) del compito che gli è stato assegnato (il ruolo del protagonista da adulto), non sembra proprio plausibile nei panni di un medio borghese nato e cresciuto nella Torino degli anni Sessanta e Settanta.
Fai bei sogni è, dunque, un’opera cinematografica che riesce a tenersi in piedi soprattutto grazie alla sua solidità registica, alla costruzione di alcune scene in cui l’emozione viene comunicata in modo trattenuto, alla mano di un cineasta che è in grado anche solo con alcune intense inquadrature di tenere accesa l’attenzione dello spettatore. Queste ultime sono vere, autentiche, apparizioni estetiche di un cinema di estrema importanza, quello di Marco Bellocchio, che ha dato tantissimo alla cultura visuale del Novecento (In Italia, e non solo) ma che, a nostro avviso, non sembra più possedere una tangibile spinta propulsiva.
© CultFrame 11/2016
TRAMA
Massimo ha nove anni e vive con i genitori a Torino, in un palazzo davanti alla stadio. Un giorno sua madre muore e Massimo rimane solo con il padre, un uomo chiuso e severo. In età adulta, Massimo è un giornalista, prima sportivo e poi inviato di guerra. Tornato a Torino, avrà un grande successo con la rubrica delle risposte alle lettere che vengono inviate al suo giornale: La Stampa. Sarà proprio ormai grande che Massimo scoprirà la tragica verità che si cella dietro la morte dell’amata madre.
CREDITI
Titolo: Fai bei sogni / Regia: Marco Bellocchio / Sceneggiatura: Valia Santella, Edorado Albinati, Marco Bellocchio / Fotografia: Daniele Ciprì / Montaggio: Francesca Calvelli / Scenografia: Marco Dentici / Musiche: Carlo Crivelli / Interpreti: Valerio Mastandrea, Bérénice Bejo, Fabrizio Gifuni, Guido Caprino, Barbara Ronchi, Miria Leone, Giulio Brogi, Roberto Herlitzka, Roberto Di Francesco / Produzione: IBC Movie, Kavac Film, Ad Vitam, Rai Cinema / Distribuzione: 01 Distribution / Paese: Italia, Francia / Anno: 2016 / Durata: 134 minuti