La dimensione sospesa del circo nelle visioni di Enrico Genovesi

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis
© Enrico Genovesi. Il giocoliere Ronny scruta l'esibizione in pista dei suoi colleghi artisti. - Circo Oscar Orfei - 2016

© Enrico Genovesi. Il giocoliere Ronny scruta l’esibizione in pista dei suoi colleghi artisti. – Circo Oscar Orfei – 2016

L’assurdo, parossistico e visionario mondo del circo è, da sempre, spunto significativo nell’ambito delle arti visive tecnologiche. Registi e fotografi da decenni si misurano con il problema della raffigurazione visuale di un ambiente che a sua volta vive già all’interno di un processo di auto-rappresentazione, articolato nelle sue varie forme di spettacolo.

La dilatazione del senso, l’eccesso cromatico, la dimensione onirica, la ricerca intensa dell’effetto scenico, il voler apparire sempre come un microcosmo esageratamente ricco di impulsi, la sorpresa narrativa e il virtuosismo, il divertimento irragionevole e la malinconia, sono elementi che contribuiscono a rendere il circo una struttura caleidoscopica, dai tratti quasi espressionistici, e per certi versi perturbanti. Era, dunque, praticamente scontato il fatto che la sua ricomposizione estetica si palesasse costantemente nei vari segmenti delle arti visive del Novecento.

In ambito filmico, ricordiamo Freaks (1932): capolavoro di Tod Browning, in cui il circo è territorio nel quale i concetti opposti e corrispondenti di normalità/bontà e anormalità/cattiveria, codificati in modo ottuso e razzistico dal mondo borghese, vengono ribaltati totalmente per far emergere un’umanità vera che niente ha a che fare con le sembianze fisiche delle persone. Anche Charlie Chaplin, con Il circo (1928), e Federico Fellini, con I clowns (1970), hanno lavorato, a loro modo, sulla complessità dell’immaginario legato al circo rispettando perfettamente la loro poetica cinematografica e il loro stile.

© Enrico Genovesi. La giovane artista Kevin è in attesa di esibirsi. - Circo Oscar Orfei - 2016

© Enrico Genovesi. La giovane artista Kevin è in attesa di esibirsi. – Circo Oscar Orfei – 2016

Se dovessi, però, indicare un lungometraggio che realmente è riuscito a comunicare un’idea del circo come spazio della creatività libera e innovativa in contrasto con le regole di un modo moderno chiuso e dedito solo al profitto dovrei per forza citare il lungometraggio del regista tedesco Alexander Kluge Artisti sotto la tenda del circo: perplessi, opera che si aggiudicò il Leone d’oro alla 33a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (1968).

In campo fotografico la questione non cambia molto. Anche in questa area delle arti visive è possibile rintracciare innumerevoli lavori, il più delle volte (mi sembra doveroso dirlo con chiarezza) decisamente modesti. Quando si cade, infatti, nella riproduzione pseudo realistica di una rappresentazione onirico-visionaria (come è il circo) i risultati sono sempre sconfortanti.

Tra i molti fotografi che hanno deciso di lavorare sull’argomento in questione, gli unici che hanno trovato una chiave di lettura degna di attenzione sono stati senza dubbio Robert Doisneau nel 1948 e Bruce Davidson nel 1958. Entrambi, infatti, pur con qualche inevitabile caduta nella banalità, hanno puntato l’attenzione non tanto sulla replica visiva dello spettacolo del circo quanto piuttosto sulla realtà che sta dietro la recita pubblica che, di fatto, si ripete (pur con ovvi imprevisti) secondo le solite regole. In ambito contemporaneo ricordiamo, come degno di interesse, il lavoro di Cindy Sherman, datato 2004, in cui l’artista americana propone delle visioni di clowns inquietanti ed eccessivi, e quasi mostruosi, che evocano una tragedia collettiva di enorme portata.

© Enrico Genovesi. l presentatore Berto attende il suo momento di ingresso tra un numero e l'altro. - Circo Oscar Orfei - 2016

© Enrico Genovesi. l presentatore Berto attende il suo momento di ingresso tra un numero e l’altro. – Circo Oscar Orfei – 2016

Recentemente, mi sono invece imbattuto in un lavoro del fotografo toscano Enrico Genovesi. Il titolo, forse un po’ didascalico, di Off, oltre le luci può far pensare a un’impostazione simile a quella messa in pratica dai fotografi prima citati. Ma così non è. La struttura del progetto è precisa, quasi matematica, e va dall’immagine di una circense ripresa in controluce a un campo totale (frontale) di un tendone illuminato nella notte (anche Doisneau, a dire il vero, ci fa vedere un tendone, anche se tramite un’inquadratura dall’alto vero il basso).

Ma non è la sequenza delle inquadrature che mi ha convinto a effettuare una riflessione su Off, oltre le luci, non è il racconto visuale tradizionale (con un inizio e una fine) che vale la pena di interpretare criticamente, quanto piuttosto le improvvise e potenti sospensioni semantiche (seppur stemperate da didascalie molto precise) che punteggiano il lavoro di Enrico Genovesi.

© Enrico Genovesi. Il giocoliere Ronny presta cura ai propri abiti di scena. - Circo Oscar Orfei - 2016

© Enrico Genovesi. Il giocoliere Ronny presta cura ai propri abiti di scena. – Circo Oscar Orfei – 2016

Una donna in costume emerge, grazie a un gesto delicato, dal buio: è illuminata da un neon accecante e artificiale che rende l’immagine visionaria e un po’ folle. Un soggetto umano è inquadrato di spalle mentre sistema probabilmente un vestito di scena. La sua solitudine sembra assoluta, definitiva. Un membro della “compagnia” è seduto su uno sgabello: lo sguardo è puntato per terra, l’espressione quasi catatonica, certamente assente. Un altro individuo è colto praticamente nella stessa condizione di isolamento e di distrazione mentale. Infine, un individuo avvolto dall’oscurità sembra inoltrarsi pericolosamente in uno spazio sconosciuto.

Si tratta di istanti non decisivi, di vuoti che emergono dal nulla, di aperture verso l’abisso del non senso, di derive della realtà, di apparizioni quasi fantasmatiche. Enrico Genovesi coglie la sospensione dell’azione e la trasforma grazie a uno stile sicuro, in cui gli aspetti cromatici e i chiaroscuri sono perfettamente equilibrati, in spazio in cui il circo, da luogo della spettacolarizzazione pirotecnica fine a se stessa, diviene precipizio soggettivo nell’angoscia della mancanza. Sì, mancanza mi sembra la parola più appropriata per esprimere la sostanza di queste opere visuali, una mancanza che si manifesta improvvisa e assoluta nella solitudine (privata e nascosta) di individui che fanno dell’esibizione esteriore la loro vita pubblica ma che, come tutti, possiedono un territorio tutto interiore quasi sempre inaccessibile e spesso non mostrato.

In sostanza, Genovesi riesce a edificare un impianto di tipo poetico aggirando la superficie del contesto circense per rivelare, in senso estetico (e non estetizzante), una dimensione di abbandono e di separazione dalla realtà che non riguarda solo gli artisti del circo nelle loro pause ma che in verità viviamo tutti noi. Nessuno escluso.

© CultFrame – Punto di Svista 11/2016
(pubblicato su L’Huffington Post Italia)

SUL WEB
Il sito di Enrico Genovesi

 

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Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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